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La seconda Nakba del popolo palestinese

Nakba, in arabo “catastrofe”, è la parola che ricorda l’esodo forzato della popolazione palestinese avvenuto nel maggio del 1948.

Appena dopo la fondazione dello Stato di Israele e agli sgoccioli del mandato britannico, più di 70.000 palestinesi furono cacciati con violenza dalle loro case, città e villaggi, e successivamente gli fu negato il diritto di ritornare nelle loro terre.

Da quel giorno i palestinesi sono diventati rifugiati, e nel 2015 risultavano essere circa 5.149.742, distribuiti tra Siria, Libano, Striscia di Gaza, Cisgiordania e Giordana.

Oggi, dopo 77 anni dalla Nakba, la situazione non sembra essere cambiata, semmai è peggiorata. Israele, con l’appoggio di altri paesi tra cui anche l’Italia e gli Stati Uniti, sta portando avanti un progetto di pulizia etnica del popolo palestinese, con lo scopo di appropriarsi dell’intera Palestina, dopo aver torturato il suo popolo per anni, sia dal punto di vista amministrativo che politico e militare. I palestinesi, quindi, non solo continuano ad essere rifugiati dopo più di 70 anni, ma sono costretti a vivere in condizioni estreme: senza acqua né cibo, senza elettricità, senza cure mediche perché gli ospedali sono stati tutti bombardati e Israele vieta ai soccorritori umanitari di entrare. 

La narrazione filooccidentale dei telegiornali e quotidiani italiani non permette sempre la diffusione di informazioni corrette. Tendendo ad una dimensione filoisraeliana, ancora parlano di guerra israelo-palestinese, evitando di definire ciò che sta accadendo per quello che è realmente: un genocidio.

L’enciclopedia Treccani lo definisce così: “Sistematica distruzione di una popolazione, una stirpe, una razza o una comunità religiosa.”

Con quale coraggio si può chiamare guerra, se l’esercito militare d’Israele lancia bombe, missili, spara con fucili e carrarmati, utilizza un software di IA che intercetta i punti geografici con più palestinesi, e i palestinesi invece non hanno armi di alcun tipo con cui difendersi, forse qualche pietra. Ma che forza può avere una pietra contro un carro armato?

Da un lato abbiamo un esercito, dall’altro dei civili indifesi. Questa non è una guerra. Questa è pulizia etnica. Questo è odio nella sua forma più pura e completa. Tutte le ragioni politiche e religiose sono solo delle scuse, una stupida bugia per continuare ad uccidere.

C’è chi ancora tenta di giustificare questa carneficina colpevolizzando solamente HAMAS, chiedendo la liberazione soltanto degli ostaggi israeliani, credendo che la Palestina sia la “terra promessa” di Israele. Ma la Palestina è dei palestinesi. Per quanto complesso possa essere intavolare un discorso sulla storia e le azioni di HAMAS, NULLA può giustificare la distruzione sistematica di un intero popolo. Non vi sono ragioni che tengono davanti al massacro di persone indifese che non hanno commesso alcun crimine.
Netanyahu, che invece è stato accusato di crimini contro l’umanità, è ancora libero. Chiunque si schieri con la Palestina viene additato come antisemita e terrorista. I sionisti si aggrappano alla memoria dell’Olocausto per giustificare la loro spietata crudeltà.

La verità? Essere antisionisti NON significa essere antisemiti. 

Essere antisionisti significa volere la liberazione della Palestina. Significa chiedere che i civili palestinesi vengano lasciati in pace. Significa condannare l’antisemitismo così come l’apartheid israeliana.

Dall’ottobre del 2023, le vittime palestinesi sono circa 55.000. Tutti civili. Famiglie, bambini, anziani, giovani. Nessuno è stato risparmiato. E ancora sono stati crudelmente uccisi poco meno di 300 giornalisti, che coraggiosamente hanno provato a raccontare la verità, e anche soccorritori umanitari, ammazzati perché tentavano di aiutare. 

Dal quotidiano Al-Jazeera le ultime notizie:

  • Il 13/05 Israele ha bombardato il Nasser Medical Complex, causando la morte di due pazienti e ferendo un giornalista.
  • È stata ufficialmente dichiarata la carestia nella striscia di Gaza. Più di 500,000 persone non riescono ad accedere a cibo e acqua, inclusi bambini e persone malate.
  • Mercoledì 23/04 un attacco israeliano su Gaza ha provocato la morte di 45 persone.
  • Nella notte del 23/04 un altro attacco israeliano ha colpito una scuola che era diventata un rifugio, provocando la morte di 13 persone, tra cui un bambino bruciato vivo. Circa altre 10 persone sono ancora sotto i detriti.
  • Il ministro israeliano Ben Gvir ha affermato di avere l’appoggio del partito repubblicano americano per bombardare i camion contenenti cibo e acqua per i palestinesi. 

Se fosse una guerra, puramente militare, gli aiuti umanitari per i civili passerebbero. Ma non lo è. È un genocidio.

Queste sono solo alcune delle notizie di circa DIECI GIORNI. In Palestina si continua a morire ogni giorno da quasi due anni, che sia di fame, di cure sanitarie non ricevute o sotto le bombe. Le vittime sono molte di più di quelle dichiarate, poiché tantissimi corpi sotto i detriti risultano irrecuperabili. Gaza è una prigione a cielo aperto. I palestinesi sono prigionieri da oltre 70 anni.

È nostro dovere educarci e poi educare chi ci sta intorno. 

È nostro dovere mantenerci informati su ciò che sta accadendo realmente ed informarci su come aiutare.

È nostro dovere continuare a parlare di Palestina, è nostro dovere scendere in piazza ed essere la voce di ogni palestinese, per dare dignità alla loro resistenza, per commemorare le vittime, e affinché i palestinesi possano ritornare nelle loro magnifiche terre, e ricostruire la loro vita senza la costante minaccia della morte.

Perché oggi sta accadendo in Palestina. Domani potrebbe accadere qui. 

L’associazione culturale Humanity in Focus opera principalmente in territorio napoletano e si impegna nella sensibilizzazione della vicenda palestinese sia attraverso i social che con diversi eventi ed iniziative. Offre una controinformazione che punta alla diffusione della verità pura e senza filtri sulla storia e la resistenza della Palestina; per questo, in occasione della NAKBA che cade il 15 maggio, gli attivisti dell’associazione hanno lanciato un appello e organizzato un corteo per il 17 maggio che partirà da Piazza Garibaldi alle ore 15:00.
Tante realtà, che appoggiano la causa e operano sul territorio napoletano, hanno risposto all’appello. Questo ci mostra come Napoli sia una città di resistenza, di giustizia, di umanità, di lotta. Napoli è palestinese perché Napoli lotta per una Palestina libera, contro ogni colonialismo e occupazione. Dalle pagine social di Humanity In Focus:

“Oggi più che mai abbiamo l’esigenza di riempire le strade le piazze della nostra città e di combattere insieme contrapponendo la nostra solidarietà all’odio e alla guerra. Sarà una piazza che vuole mettere insieme le diverse sensibilità che attraversano questa città, che vuole ricordare ancora una volta che questa città è con la Palestina, è contro la guerra, condanna il genocidio e qualsiasi tipo di svolta autoritaria”.

PALESTINA LIBERA

Marcella Cacciapuoti

Leggi anche: Manifestazione Free Palestina – Napoli

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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