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Peccati di Cesare Lanza

Una delle caratteristiche che mi viene recriminata e che io in primis recrimino è il giudizio; negli anni attorno mi son costruita mura di cinta alte dieci metri: non ho permesso a niente e nessuno di poter scorgere un solo tratto di me e quando potevo, per acuire l’interesse di qualcuno ad andare “oltre” attaccavo, coltivo con i miei giudizi.

Ho allontanato instaurando nell’altro timore; pochi, è possibile contar l’oro utilizzando le sol dita di una mano, hanno risposto attaccando e sono divenute pietre miliari della mia vita e quotidianità; il resto? nel dimenticatoio.

Sono una persona eccessivamente critica e ancora di più autocritica; osservo la mia vita tenendomi a distanza di sicurezza e mi attacco, mi fustigo. Eppure “chi non ha paura delle mie tenebre, troverà declivi di rose sotto i miei cipressi” citando il buon Nietzsche. E negli anni, grazie soprattutto all’uomo che mi ama e che amo, che è altresì il mio migliore amico e il mio miglior giudice, sto imparando a mostrarmi per chi sono, a non aver paura dei giudizi, ad abbassare le difese perché una vita in una eterna guerra non è vita, è sopravvivenza, quella delle più meschine. 

Ora mi espongo, mi racconto, mi disegno, mi canto… 

E sono alla ricerca costante di arte che mi faccia sentire accettata per quella che sono; ricerco opere letterarie dove l’autore o un intervistato si racconti senza peli sulla lingua, senza paura di essere giudicato, senza paura di essere vittima di sentenze. Spesso mi ripeto che i libri arrivano quando il destino decide di farle arrivare nella nostra vita per darci un insegnamento ed è proprio questo il caso di “Peccati” di Cesare Lanza, una conversazione a tu per tu, dove “alcune tra le donne più discusse e famose del Duemila” raccontano le loro “trasgressioni seduzione tentazioni omissioni”.

In queste interviste-diario Cesare Lanza prende le parti di un confidente che attende confidenze spontanee: non aggredisce, non incalza, ma ascolta, rispetta i silenzi e le pause (semi-cit, pag. 7). 

Un giornalista, ma ancor prima un essere umano; un essere umano che, curioso, spulcia nella vita privata, in particolare nei rapporti amorosi e personali, di donne che sono “storia” o sono “passate alla storia” come irraggiungibili, statue di cera da criticare, osannare o semplicemente giudicare.

Letizia Moratti, Mara Venier, Manuela Arcuri, Lucrezia Lante Della Rovere… Solo tre dei ventinove volti, noti e meno noti, che hanno deciso di posare per qualche quarto d’ora le maschere ed essere se stesse. Tragedie, gossip, cinema, violenze sessuali, famiglia, eccessi, debolezze: donne umane, essere imperfetti e mortali. 

“Se ci sopravvalutiamo, tutto ci sembra impossibile e inaccettabile. Ma noi siamo solo granellini, che compongono un mistero. Capire forse è impossibile, ma tentare di capire, senza dare a noi stessi troppo importanza, è fondamentale.” (pag. 139)

Ho apprezzato particolarmente questa lettura e non solo per il giornalista dietro queste interviste, ma anche e perché soprattutto ho un reale debole per esse. Amo l’idea del poter spogliare e mostrare la nudità di uomini e donne che spesso non si sono potuti concedere il lusso di far vivere il proprio io. 

Stile: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Lettura: ⭐️⭐️⭐️ (in alcuni punti è stato davvero un lavoro molto duro continuare la lettura di un testo a tratti troppo schietto) 

Se potessi associare al libro una bevanda o un cibo, indubbiamente sarebbe un vino rosso a temperatura ambiente: introspettivo e, meditativo.

Antonietta Della Femina

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Antonietta Della Femina

Classe ’95; laureata in scienze giuridiche, è giornalista pubblicista. Ha imparato prima a leggere e scrivere e poi a parlare. Alcuni i riconoscimenti e le pubblicazioni, anche internazionali. Ripete a sé e al mondo: “meglio un uccello libero, che un re prigioniero”. L’arte è la sua fuga dal mondo.
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