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Insegnare ai miei tempi, la scuola che non si forma

«Ai miei tempi si faceva un concorso ogni dieci anni», ho sentito dire una mattina in sala professori. Si parlava dell’uscita imminente del nuovo bando di concorso straordinario per docenti, quello la cui uscita è imminente dallo scorso agosto. 

Il concorso precedente era stato bandito nel 2020 e tra pandemia e disagi, si è concluso, a seconda delle regioni, in soli due o tre anni con la bocciatura del 90% dei candidati, tanto che persino il Ministro dell’istruzione ha riconosciuto le modalità di organizzazione delle prove “non adeguata”. 

Si potrebbe forse considerare un miglioramento rispetto al passato, perché due anni di certo non sono dieci e dovremmo essere grati di questa opportunità ma, per quanto non possiamo essere certi delle materie d’esame del prossimo concorso, le notizie che girano al momento non lasciano ben sperare. Nel frattempo, diventano più restrittivi – e costosi- i requisiti d’accesso alle prove.

Negli anni cambiano i governi e i ministri, cambiano i requisiti e le competenze richieste, cambiano le materie e le modalità di esame, ma tutto sembra girare a vuoto e basta dare uno sguardo ai numeri per rendersene conto. 

Il precariato è quel nemico contro cui fanno tutti finta di combattere, ma a cui vengono date nuove armi non appena ci si distrae un secondo.

L’anno scorso, su novecentomila posti assegnati, duecentoventicinquemila erano a tempo determinato. Si tratta del 25% di docenti precari, ovvero uno su quattro. Quest’anno le stime non migliorano e i docenti precari sono tra i duecentomila e i centotrentamila. 

Questi dati sono preoccupanti per ragioni che s’intrecciano tra loro. Ne risentono gli alunni a cui non viene garantita continuità didattica. Ne risentono gli insegnanti che, anno dopo anno, non possono sapere se, dove e come lavoreranno. Ne risentono le scuole, che si trovano a inizio anno scolastico con cattedre scoperte e con tutte le difficoltà organizzative che ne derivano. 

“Per insegnare il latino a Giovannino non basta conoscere il latino, bisogna soprattutto conoscere Giovannino”, ma il tempo di conoscere Giovannino non c’è, perché in una classe di trenta alunni non si fa in tempo ad entrare in empatia con la metà di loro che il contratto è già scaduto. 

Non sorprende, dunque, che ci sia sempre meno voglia e meno spinta verso la carriera dell’insegnamento. Gli stipendi restano i più bassi d’Europa e spesso è necessario cambiare regione, allontanarsi dalla propria famiglia e dai propri amici per ottenere una cattedra. Succede che c’è chi non se la sente, chi rinuncia, chi preferisce fare altro. 

Quest’anno, una cattedra su due non è stata assegnata. Questo vuol dire che, presumibilmente, arriverà qualcuno a coprirla ad anno scolastico avviato e che si ritroverà indietro fin dal primo giorno di lezione, mentre gli alunni ne risentiranno in formazione e serenità. 

Per insegnare ci vuole passione, sì. Ma per insegnare ci vogliono anche strumenti adeguati, possibilità adeguate, stipendi adeguati. Un paese che non investe nella formazione pubblica non investe nel futuro, o quanto meno non nel futuro di tutti e tutte.

Perché sono decenni che non si investe nella scuola e a farne le spese, in fin dei conti, sono soprattutto le persone più fragili. 

A proposito delle questioni sopra citate, per quanto riguarda il Decreto 60 cfu, i docenti si sono uniti nello scrivere una lettera al Ministro Valditara:

Onorevole Ministro Valditara,

premessa fondamentale al testo che seguirà è che, ad oggi, possiamo dire di ritenerci tutti uniti nelle nostre intenzioni, dai precari storici ai neolaureati, da chi nella scuola ci lavora da anni e nella scuola ha investito già il proprio futuro a chi verso la scuola vorrebbe invece indirizzare le proprie energie, il proprio tempo e la propria passione.
La classe docente di questo Paese è risoluta e coesa, dunque, nel rifiuto dell’ attuale sistema che mortifica, precarizza ed esclude coloro che hanno inteso o intendono dedicarsi all’educazione delle nuove generazioni.

La pericolosa cultura del lavoro che si sta diffondendo ruota intorno al concetto di normalizzazione della precarietà: eppure l’articolo 4 della nostra Costituzione sancisce che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Inoltre l’articolo 34 della Costituzione ribadisce che “La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

Infine l’ articolo 53 della Costituzione stabilisce che: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Infine, l’art.4 comma 1 della Direttiva 70 del 1999 che impone l’assunzione a tempo indeterminato per chi ha maturato un contratto superiore a 3 anni.

Ebbene, riteniamo che il nuovo DPCM relativo ai 60 CFU tradisca questi importanti principi, colonne portanti della democrazia e che, al contrario, determini condizioni assolutamente discriminatorie ed escludenti. Riteniamo, inoltre, che questi percorsi debbano essere gratuiti o avere costi molto ridotti e non imposti per l’ ottenimento di un contratto.

Queste le nostre principali considerazioni al riguardo:

Le modalità di conseguimento di questi crediti formativi sono state concepite senza considerare lo status di lavoratori, spesso precari, dei destinatari del provvedimento.

Molti di noi infatti svolgono altri lavori, con turni che impegnano gran parte della giornata e hanno famiglia, per questo chiediamo che la modalità asincrona di fruizione delle lezioni, sia estesa a tutti i percorsi.

I colleghi con molti anni di precariato all’attivo saranno costretti a nuovi investimenti formativi ed economici per confermare il proprio diritto ad esercitare nell’istituzione scolastica.

Questo a svantaggio di tutti coloro che non potranno sostenere le spese di un corso di formazione e che non garantirà l’immediata immissione in ruolo.

Per questi motivi, Ministro, Le chiediamo una sostanziale modifica del decreto, affinché si promuova la creazione di canali paralleli di accesso all’esercizio della professione, evitando così l’ esclusiva dipendenza del lavoro dall’ attuale proposta formativa, acciocché non sia questa l’unica alternativa per i lavoratori di questo settore, e venga preservata la molteplicità dei canali di reclutamento che hanno sempre caratterizzato questa professione.

Domandiamo sia data possibilità reale a tutti, senza discriminazione alcuna, di scegliere liberamente in quale direzione indirizzare i propri sforzi, le proprie risorse, le proprie aspettative.

Le chiediamo altresì una particolare attenzione per coloro che sono definiti “precari storici”, perché abbiano il giusto riconoscimento del lungo lavoro svolto, mediante lo scorrimento delle GPS.
Un tavolo di confronto tra coloro che vivono la scuola e i rappresentanti dell’Istituzione è da noi fortemente auspicato.

Certi che valuterà attentamente le nostre istanze, La ringraziamo e Le porgiamo i nostri rispettosi saluti.

Nadia Rosato 

Leggi anche: L’insegnamento è la mia ragione di vita

Nadia Rosato

Nadia Rosato, napoletana di nascita e di residenza. Laureata in Filologia Moderna. Ho la luna in gemelli. Il modo migliore per farmi fare una cosa è dirmi che non posso farla.
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