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Alle origini della Taranta

Tutto parte da un morso, e non si tratta di Spiderman.

Non lontani parenti, il ragno e la tarantola sono da sempre oggetto di fantasie e storie che li vedono protagonisti, come portatori di un veleno. Il primo trasforma un uomo in ragno e gli fa sparare ragnatele, e l’altra fa impazzire le donne, facendole dimenare come pazze.

Ma cosa c’è all’origine del morso della tarantola? Forse proprio la sua assenza.

Ebbene sì, nessun morso e nessun veleno, ma uno stato di frustrazione e apatia che, dopo una sorta di terapia musicale dal ritmo incalzante, esplode in un ballo frenetico e cadenzato, come la necessità di una ribellione.

Alle origini, era l’ipotetico morso dell’animale a spingere chi ne veniva colpito all’agitazione del corpo, nella disperata ricerca di raggiungere la guarigione attraverso la musica, la danza e l’espiazione del peccato o la liberazione dal diavolo.

Il morso del ragno sarebbe stato, infatti, la metafora di un malessere psichico e il risultato estremo di una condizione di oppressione economica, sociale o sessuale.

Le immagini del tarantismo, fenomeno tipico della Grecía salentina, nel sud Italia, ritraggono giovani che si dimenano al ritmo della musica sino allo sfinimento, che coincide, nell’immaginario, con la liberazione dal veleno del ragno, considerato responsabile dell’isteria.

Con danze ritmate e vivaci si cercava di curare coloro, soprattutto donne, che mostravano i segni di un’intossicazione da veleno di ragno.

Per anni, scienziati e medici si concentrarono sull’analisi della terapia musicale, cioè sugli effetti che la musica aveva sul corpo e sulla mente delle pazienti, più che sulle cause all’origine del disturbo. Nel 1362, si scriveva che “coloro che sono morsi dalla tarantula traggono massimo diletto da questa o quella musica”.

La Chiesa, da parte sua, associò le manifestazioni di tarantismo con la storia che vedeva protagonista l’apostolo San Paolo – richiamato in molte canzoni di pizzica – che, negli Atti degli Apostoli, si narrava fosse uscito indenne dal morso di una vipera.

Il rito di purificazione consisteva nel far adagiare le tarantate su un lenzuolo bianco steso sul pavimento. Queste potevano tenere in mano anche un fazzoletto rosso, verde o blu, a seconda del colore della tarantola portatrice del male.

Poi la musica. Violino, tamburello e fisarmonica inducevano la tarantata a muoversi, dimenandosi nel lenzuolo, rotolandosi a terra, fino alle convulsioni: i movimenti contorti e il respiro affannato, che avrebbero dovuto portarla alla guarigione. Spesso non accadeva.

Ci si continuò a interrogare sugli eventuali stati tossici derivanti dal morso del ragno, senza valutare i possibili disordini di natura psichica, ignorando cioè che il fenomeno coinvolgesse prevalentemente le donne, quasi fosse una sorta di selezione naturale.

Nel 1600, quando si cominciarono a valutare possibili collegamenti con disturbi mentali, quali epilessia o isteria, Francesco Serao diceva “la causa del tarantismo non è da ricercarsi nella tarantola ma nei pugliesi”.

Erano proprio le donne, soprattutto di giovane età, che, nei periodi estivi, infatti, a lato degli uomini, popolavano i campi dedicandosi alla raccolta delle foglie di tabacco.

Ma le cause? Probabilmente si trattava di uno stato di malessere e infelicità dovuto a condizioni di degrado, legate a imposizioni e costrizioni che non permettevano loro di trovare altra via di fuga, se non in una danza agitata e sfinente, in cui abbandonare forze e turbamenti.

Oggi, del tarantismo, rimangono le melodie coinvolgenti, che si associano a una danza che, nel tempo, ha accentuato la sua dimensione gioiosa, lasciando nell’ombra gli aspetti più inquietanti: la voglia di scatenarsi a passi di pizzica, che trova massima rappresentazione nello spettacolo della Notte della Taranta, celebrazione di tamburi, colori, capelli al vento, che prende vita ogni anno a fine agosto, a Melpignano, in provincia di Lecce.

Oggi, del tarantismo, rimangono armonie travolgenti e corpi che non riescono a stare fermi. Rimangono il sangue che ribolle e l’agitazione dei muscoli.

Oggi, del tarantismo, rimangono quell’antico mistero e lo stesso fortissimo desiderio di libertà.

Stefania Malerba

 

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Stefania Malerba

Sono Stefania e ho poche altre certezze. Mi piace l’aria che si respira al mare, il vento sulla faccia, perdermi in strade conosciute e cambiare spesso idea. Nel tempo libero imbratto fogli di carta, con parole e macchie variopinte, e guardo molto il cielo.
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