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Junk: armadi pieni, il vero backstage della moda

Junk: armadi pieni è un viaggio di sei puntate, dove un imprenditore di nome Matteo Ward decide di attraversare tre continenti Asia, Africa ed Europa, partendo dal Cile fino al Veneto.

La docuserie disponibile su youtube e su Now Tv dall’aprile 2023, permette di scoprire cosa si nasconde dietro la produzione e lo smaltimento dei tessili.

Quanto realmente la moda sostenibile di cui si parla sia concreta nei fatti? Quanto il fast fashion ha influito negativamente sul pianeta? 

Junk: armadi pieni è una docu serie creata per rendere noto al pubblico il vero backstage della moda e quanto il fast fashion incombe sull’ambiente e sugli abitanti di questo pianeta, dunque su noi. Le riprese della serie mostrano un paese diverso per ogni puntata, il fine è risvegliare le coscienze, puntare sulla moralità e cercare di cambiare le consuetudini degli acquisti. I produttori della serie credono in un cambiamento, che forse è ancora possibile, e ripongono fiducia nello spettatore.

La serie Junk: armadi pieni, prodotta da Will media e da Sky Italia, è composta da 6 episodi realizzati per divulgare il lato oscuro del fast- fashion, quanto ogni nostra scelta di acquisto sia di impatto negativo per il pianeta.

Quante volte abbiamo effettuato resi di capi di moda, che subito dopo esser stati acquistati, non ci piacevano più? O quante altre volte abbiamo creato buste piene di vestiti, credendo di fare beneficenza? Siamo sicuri che arrivino nelle strutture adatte e che non sia spazzatura invece che beneficenza? 

Junk risponde a queste domande, che forse alcuni non si sono mai posti, mentre Matteo Ward e la sua troupe hanno voluto indagare sulla questione, rispondendo a queste domande e lo hanno fatto attraverso il potere comunicativo della docuserie, rendendolo espediente per agire sul futuro, e modificare le nostre abitudini di consumo. 

Produrre viscosa in paesi come l’Indonesia implica danni alla salute di chi ci abita e al tempo stesso causa deforestazione; o ancora i resi on-line prevedono maggiori spese se rimandati al negozio d’acquisto, per questo motivo le grandi aziende preferiscono rivenderli, anche per pochi soldi, all’ingrosso di mercati del Sud America o del Sudafrica. Le multinazionali scelgono di produrre in paesi più poveri poiché la manodopera è ad un basso costo,ciò accresce lo sfruttamento umano come accade nel Bangladesh. 

Le immagini mostrate sono forti, mai smussate poiché necessarie per generare consapevolezza nello spettatore e consumatore. Alla fine di ogni puntata viene mostrato un QR Code, una volta inquadrato permette di aprire una pagina dove sono elencate le diverse soluzioni: acquistare meno, mantenere il più possibile un capo o modificarlo e ripararlo laddove dovesse essere necessario, e soprattutto investire nel riciclo.

Matteo Ward nell’ultimo minuto dell’ultimo episodio della serie dice: “Siamo arrivati alla fine di Junk, ma parlare di fine forse non è così corretto, perché quello che ci auguriamo è che questo progetto sia per voi un nuovo punto di partenza […] vivere quello che indossiamo in un modo più responsabile e consapevole possibile non è così semplice e scontato”.

Junk: armadi pieni è composto da puntate di circa venti minuti, dunque si tratta di una fruizione abbastanza veloce e sicuramente d’impatto. Scritta e diretta da Olmo Parenti, con la voce narrante dell’imprenditore Matteo Waard, che viaggia per sei continenti esponendo l’altro lato della medaglia del fast fashion, quello più oscuro, macabro, mostrando realtà molto spesso sconosciute ma fortemente sconvolgenti. Ognuno di noi dovrebbe ritagliarsi dello spazio per la visione della docu-serie e rendersi conto di quanto stiamo portando alla rovina il paese in cui viviamo. Alla fine dobbiamo renderci conto che tutti i colori e la bellezza che vengono mostrati nei capi di moda, non sono poi un vero spettacolo se conosciamo ciò che si nasconde dietro di essi.

Arianna D’Angelo

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La Redazione

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