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Grotta azzurra: tra storia e leggenda

Con Capri ho un legame indissolubile, un legame profondo fin dalla nascita; sarà probabilmente perché il mio corpo e la mia anima la sentono come un luogo familiare, un luogo da chiamare casa. 

È a Capri che ci sono i miei familiari, è a Capri che c’è la mia “famiglia”, è a Capri che ci sono le mie radici. 

Nonostante il grande attaccamento che io e la mia famiglia nutriamo nei confronti di questa isola, la nostra vita è sempre stata sulla “terra ferma”, alle pendici dei monti Lattari. Eppure quando siamo in mare, lungo la traversata, i nostri polmoni si dilatano, la pelle si imbrunisce e lo iodio penetra sotto ogni centimetro del nostro corpo. Arrivati sull’isola abbiamo delle “tappe fisse”: il giro dell’isola in barca, il caffè in Piazzetta, la seggiovia per Monte Solaro, la Certosa di San Giacomo, Villa Jovis, l’ingresso in barca alla Grotta Azzurra. Ed è indubbiamente quest’ultima la regina indiscussa dei miei ricordi: è entrando in essa che da bambina persi uno dei miei cappelli preferiti, forse Il cappello – ancora oggi a distanza di anni spero di poterlo ritrovare. Ed è proprio della grotta Azzurra che parleremo, perché attorno alla sua figura vi è ancora oggi un alone di meraviglia e mistero. 

Capri ha oltre 70 cavità tra grotte e caverne (le più grandi e conosciute sono la Grotta Azzurra, la Grotta Verde, la Grotta Bianca, la Grotta Rossa e la Grotta di Matromania – nota oggi come Matermania, perché ai tempi dei romani la caverna era dedicata alla Dea Cibele, Dea della Terra o “Mater Magna” -) ma indiscutibilmente la più famosa è la Grotta Azzurra, la Blue Grotto (da non confondere con la Blue Grotto di Malta, scenario di film iconici come “Troia”). 

È una cavità lunga circa 60 metri, larga 25 e profonda dai 22 ai 14 metri. La volta ha invece un’altezza media di circa 7 metri, ma arriva anche ai 14. 

Perché Grotta azzurra? 

Il colore azzurro che si può osservare nella grotta è frutto di un complesso fenomeno di rifrazione della luce: da un ingresso, oggi sommerso, si riflettono i raggi del sole che creano durante tutte le ore del giorno questo spettacolo. Ma non è solo il suo color cielo ad averla resa rinomata nel mondo. C’è molto di più… 

La sua vita tra storia e mito

Si dice che essa un tempo fosse chiamata Gradola (così come una spiaggia di Anacapri) e che prima di essere abbandonata e temuta dai marinari per via di alcune storie su spiriti, l’imperatore Tiberio – durante i suoi 5 anni di soggiorno caprese – la utilizzasse come ninfeo marino, una “vasca” naturale dove amava rilassarsi nuotando con giovani ragazze e ragazzi nudi. Lungo le pareti di essa, collegata probabilmente a una villa tramite un passaggio andato distrutto, erano disposte numerose statue romane rappresentanti creature marine: nel 1964 degli archeologi recuperarono dal fondo tre statue di cui una raffigurante Nettuno, dio del mare, e due il dio greco Tritone, figlio di Nettuno.

Secondo gli esperti, altre sculture potrebbero trovarsi sul fondo sabbioso, che in parte è complice insieme ai continui movimenti sismici dei Campi Flegrei della loro “copertura”. 

Anni di silenzio, fin quando non fu poi “riscoperta” nel 1826 grazie al pescatore caprese Angelo Ferraro che aveva portato in visita lungo le coste il pittore Ernst Fries e lo scrittore August Kopisch: quest’ultimo ha inserito nel suo “Annuario Italia” (1838) un capitolo intitolato “La scoperta della Grotta Azzurra” nel quale racconta che “alcuni preti sarebbero entrati, nel Seicento, all’interno della grotta per scacciare tali spiriti e ne sarebbero fuggiti, avendo l’impressione di trovarsi in un tempio con un altare maggiore, circondato da simulacri”; in seguito lo scrittore Hans Christian Andersen ne ha parlato nel suo romanzo “L’improvvisatore” (1835).

“Si resterà sorpresi di vedere l’acqua simile a fuoco azzurro empire la grotta; onde ogni onda sembra una fiamma”. 

Riprendendo le parole di August Kopisch, ci facciamo inebriare dalle fiamme azzurre di un luogo che a distanza di secoli ancora ammalia verso l’acqua, proprio come le sirene che protegge.

Antonietta Della Femina

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Antonietta Della Femina

Classe ’95; laureata in scienze giuridiche, è giornalista pubblicista. Ha imparato prima a leggere e scrivere e poi a parlare. Alcuni i riconoscimenti e le pubblicazioni, anche internazionali. Ripete a sé e al mondo: “meglio un uccello libero, che un re prigioniero”. L’arte è la sua fuga dal mondo.
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