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FIVE MINUTES incollato su Napoli, il progetto fotografico sulla menzogna dell’Io

Succede una cosa strana a Napoli quando qualcuno se ne appropria, perché i vicoli sono di tutti e tutti vogliono sapere. Se qualcosa nasce è difficile renderlo invisibile, se qualcosa esiste allora bisogna sapere di chi è.

È il collettivo ADGS a tappezzare di volti i vicoli di Napoli, rendendo la città un dilemma da studiare e dissacrare. FIVE MINUTES è il loro nuovo progetto fotografico che mette al centro il concetto di unicità e serialità identitaria, aprendo una riflessione sulla caducità del tempo e della fama. 

Sono ottanta gli scatti di persone fotografate nella medesima posizione che rivelano l’essenza di FIVE MINUTES e più precisamente dell’uomo contemporaneo. Un uomo che si ciba del consenso altrui, vittima di un meccanismo ammaliato dalla notorietà e dalla parvenza. Intrappolato nell’opprimente autoaffermazione di sé, quello stesso uomo, non è in grado di scindere realtà e finzione, o forse non vuole.

È logico e anche naturale che il giudizio degli altri incida sulla percezione che si ha di se stessi perché si cresce e si forma la propria identità attraverso le conferme o disconferme che si ricevono nelle relazioni. Così, può capitare che ci si muova nel mondo come camaleonti sociali dicendo e facendo cose che sono piacevoli per il pubblico, perché siamo io digitali, uomini e donne impostati con fili di ferro robotici, in ordine, a comando, che rischiano tutto pur di sembrare unici, e reali.
E cosa trascuriamo e sacrifichiamo di noi stessi? Barattiamo il riconoscimento e l’approvazione con la possibilità di essere, in maniera imprescindibile e inequivocabile. 

«Un’arrogante presunzione che fonda le sue radici in un terreno fatto di originalità, tipicità e creatività che permettono al singolo di emergere dalla massa per sentirsi “speciale”. Ma se tutti vogliono essere speciali, nessuno lo sarà mai veramente: l’unicità, dunque, diventa serialità» dicono Angelo e Giovanni, fondatori di ADGS.

Per la prima volta nel ’68, da un catalogo di una mostra di Andy Warhol si legge: “Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti”. E se non è questo quel futuro di cui parla Warhol, allora qual è? Compro dunque sono, posto – come l’atto del pubblicare qualcosa online – dunque esisto, faccio cose dunque sono autentico.

Negli anni ’60 erano gli oggetti a imporre in breve tempo la loro presenza, comprimendo il passato e iniziando a essere desiderati e sostituiti a un ritmo inedito. È una società, quella di massa, non solo a proprio agio con le novità, ma più curiosa che diffidente, desiderosa di possedere tutto ciò che è nuovo, dal frigorifero all’asciugacapelli, per sentirsi al passo coi tempi, parte di una rinascita. E oggi quegli stessi oggetti sono sostituiti dalle storie, dalle esperienze, dalle idee più innovative, che come scatole di un supermercato sono pronte per essere aperte e consumate.


Si passa rapidamente da uno scaffale (immagine) all’altro, lanciando un’occhiata superficiale a un prodotto (identità) per poi passare rapidamente a un altro, e non si può sfuggire a questo gioco delle parti, in cui preda e predatore coesistono in simbiosi, oggi più di ieri.

Le identità di FIVE MINUTES sono uniche, seriali, singolari ma allo stesso tempo uguali: pur essendo soli, tutti sono parte della stessa cosa.

Uno è un ritratto in bianco e nero di X.

Due sono ritratti in bianco e nero di X e Y.

Cento sono solo ritratti in bianco e nero.

La stessa fotografia viene ripetuta innumerevoli volte una accanto all’altra, fino a perdere il suo significato. Attraverso la continuità di questo progetto, le immagini rappresentano l’omogeneità e allo stesso tempo la fame feroce di consumare la stessa cosa che è stata consumata solo pochi minuti prima. 


Il consumo diventa una fonte di soddisfazione. L’oggetto diventa un mezzo per accrescere un culto feticistico della personalità, il cui valore dipende unicamente dalla qualità del prodotto e dalla sua capacità di accrescere l’ego. Il consumo dà senso e significato all’individuo. Il rischio per chi non consuma – o meglio di chi non esiste consumando – è di diventare un emarginato sociale; chi non ha, o non sembra avere, sembra addirittura “non essere”.

È così che l’io è sempre più minacciato perché la sua esaltazione si esprime attraverso i mezzi di comunicazione che, a loro volta, utilizzano l’estetica delle masse: l'”avere” che lascia spazio alla mera ostentazione.

FIVE MINUTES trae ispirazione dalla campagna Twinsburg SS ‘23 di Gucci fotografata da Mark Peckmezian: i gemelli come perno principale della collezione aiutano ad indagare la realtà come riflesso di sé e allo stesso tempo dell’altro. Un palese citazionismo visibile dall’uso sapiente della luce e dalla particolare atmosfera creata, ma anche dalla peculiarità nell’essere uguali nella totalità.

Nel progetto dunque, le pareti della città di Napoli si trasformano in ripiani da supermercato in cui i prodotti non sono altro che le identità perse, smarrite fra mille stimoli e finzioni fabbricate dal contemporaneo, alla ricerca del Sè.

ADGS, citando Warhol, ha provato a rendere iconiche anche solo per cinque minuti identità che si mostrano nude e statiche in un mondo che, invece, scorre a ritmi frenetici. Così, un momento fugace immortalato su carta, ovvero la foto di un semplice volto, si trasforma in opera che agisce sul territorio, che tenta di rilevare l’unicità e l’affermazione del Sé che alla fine, forse non sarà mai comunque unico.

Visita il sito del collettivo ADGS cliccando qui

Foto e video concesse da ADGS

Serena Palmese

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Serena Palmese

Mi piacciono le persone, ma proprio tutte. Anche quelle cattive, anche quelle che non condividono le patatine. Cammino, cammino tanto, e osservo, osservo molto di più. Il mio nome è Serena, ho 24 anni e ho studiato all’Accademia di belle Arti di Napoli. Beati voi che sapete sempre chi siete. Beati voi che sapete sempre chi siete.
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