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Come immagini il tuo futuro?

“Noi siamo i figli di un mondo devastato, che provano a rinascere in un mondo da creare. Imparare a diventare umani è la sola radicalità. Sapere quel che vuoi, volere quel che sai. Ecco tutto il segreto dell’autonomia e l’unico principio di una educazione in cui si tratta di imparare a imparare da soli”. 

Con queste parole di Raoul Vaneigem si chiude Futura (2021) il progetto di cinéma vérité composto a tre mani dai registi Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher.

Son passati parecchi anni dal 1965, quando Pasolini con la videocamera gira l’Italia per capire cosa e come pensano gli italiani, giovani e non, per tastare il polso del suo tempo sul campo.

Come vivono gli italiani, in quali condizioni economiche, quanto stanno al passo coi tempi, quali sono le differenze tra Nord e Sud. Il risultato? Comizi d’amore

Nel 2020 comincia il viaggio dei tre registi di Futura, che girando la penisola da Nord a Sud, danno vita ad un ritratto delle speranze e delle paure dei giovani, prima e dopo il Covid, come viene detto ad un certo punto infatti, “senza rendercene conto, questo film diventava il diario di uno stato d’animo contagiato”.

La domanda che i registi rivolgono ai ragazzi intervistati è apparentemente molto semplice eppure è una domanda che lascia molti di questi ragazzi impietriti, “cosa ti aspetti nel tuo futuro? Come lo immagini?”. Alcuni reagiscono ridendo imbarazzati, altri si ammutoliscono, altri ancora hanno un’idea di ciò che vorrebbero fare, ma sanno che il loro paese non potrà accontentarli e così sognano l’evasione verso luoghi forse più promettenti. 

Le telecamere arrivano nelle università, nei licei, negli istituti professionali, nei centri sportivi e ricreativi, nei parchi e per le strade dei centri cittadini fino alle periferie e ai borghi italiani meno conosciuti, intervistando ragazze e ragazzi di ogni età, estrazione, genere ed orientamento sessuale per poter avere un quadro quanto più completo e variegato possibile.

Eppure c’è un sentimento comune che emerge dalle interviste, una sensazione di impotenza, i giovani sentono che c’è un destino già scritto per loro, sentono di dover farsi carico di un mondo gravato dalla pandemia, dal cambiamento climatico; la sensazione corrente è quella che non ci sia più spazio per loro e il conflitto generazionale si associa ad un’ansia e a una sfiducia nel futuro.

“Non c’è futuro in Italia” o “la felicità non ce la vedo in Italia”, frasi semplici ma estremamente significative, indicative dello sconforto di giovanissimi sfiduciati e amareggiati riguardo il loro futuro in Italia, molti di loro sognano di andarsene, un po’forse per quella smania di evasione tutta giovanile, ma certamente anche perché gli adolescenti sentono che non c’è un posto per loro. 

Questo documentario girato in 16mm risulta particolarmente malinconico e veritiero perchè riesce a catturare tutti quei sentimenti contrastanti, ancora acerbi eppure lucidissimi degli adolescenti, quelle “creature sovrannaturali”, i “divenenti”, che non hanno nemmeno avuto il tempo di trovare il proprio sogno che già devono scontrarsi con una realtà che sembra respingerli violentemente.

Più la pressione e l’ansia sociale aumentano, più sembra crescere anche il sentimento di impotenza, di passività forzata di fronte ad un’Italia che sembra aver molto poco da offrire ai giovani. Evidentemente il sentimento di non poter cambiare le cose ha origine dal fatto che c’è una certa diffusa consapevolezza dei problemi della nostra società; consapevolezza che è alla base del cambiamento, della possibilità di tracciare un’alternativa.

Questo docu-film ci mostra anche un’Italia che sta cambiando, una parte almeno che prova a cambiare lo stato di cose, ci mostra dei giovani che si dibattono tra tradizione e cambiamento, tra l’educazione che hanno ricevuto e ciò che loro pensano sia giusto, tra chi crede in un tipo di famiglia tradizionale e nei suoi ruoli e chi prefigura invece nuove forme relazionali queer

Quanto i giovani siano disposti a lottare per questi ideali e per riprendersi il loro futuro resta da vedere. 

Benedetta De Stasio

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Benedetta De Stasio

Filosofa per vocazione e plant mom a tempo pieno. Scrivo, coccolo gatti e mi piace cimentarmi in cose che non so fare, come dipingere, cantare e cucinare. Colleziono emozioni e frammenti di vita quotidiana. Credo nel vivi e lascia vivere e che piccoli gesti ed attenzioni possano cambiare il mondo.
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