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Il tram dove ho conosciuto la violenza

“Non mi era mai successo di ricevere attenzioni non richieste. Ero una di quelle che quasi si vantava con le amiche di non aver mai avuto a che fare con una molestia. Ora, invece, è toccato a me, come se stessi aspettando questo momento, come se sapessi inconsciamente che, prima o poi, ci sarei andata di mezzo pure io”.

Il tram che collega Stazione Trastevere a San Lorenzo è sempre molto affollato durante le ore lavorative, soprattutto al rientro. Lo era anche quel giorno di ottobre 2019. Alle 18 esco dal mio ufficio, metto le cuffie per finire la puntata del podcast di Alessandro Barbero dedicata a Giovanna d’Arco cominciata a lavoro e mi incammino verso la fermata del tram. 

Salgo a bordo dalla porta di mezzo insieme a una decina di persone, tutte abbastanza tranquille e sollevate dalla fine della giornata lavorativa. I sedili della mia zona sono occupati, così mi appoggio con le spalle alla porta e continuo a godermi il mio ascolto.

Passata la fermata di Piramide, mi accorgo di una ragazza della quale non dimenticherò mai il colore dei capelli ricci castani, il cappotto a doppiopetto cammello, lo zaino rosso e gli anfibi neri. È spuntata dal nulla, probabilmente era seduta nella parte posteriore del tram. Mi scivola davanti col passo affrettato. Rossa in volto, lo sguardo visibilmente arrabbiato e anche preoccupato. Dice qualcosa e, mentre lo fa, si guarda indietro, come se si stesse rivolgendo a qualcuno. “Vabbè” – penso – “soliti litigi da mezzo pubblico”. Continuo il mio ascolto anche se molto incuriosita, mentre la ragazza si accomoda sui sedili più avanti.

Per colpa dell’eterno traffico da grande città, mancano ancora più di 20 minuti al mio arrivo a casa. 18.15, decido di sedermi e non ho scelta: l’unico posto libero è quello che aveva liberato la ragazza dello zaino rosso. È posto al contrario dell’andamento di marcia ed è posizionato di fronte ad un altro sedile, dove siede un signore sulla cinquantina. Giubbotto di acetato blu. Spalle larghe, fianchi robusti. Una figura che risulta fin troppo grande per quella sediolina arancione.

Non sono una grande fan del contatto fisico ravvicinato, quindi accetto a malincuore quell’unico posto libero e mi ci siedo di lato, con le gambe verso il corridoio. Io e l’uomo in giacca blu siamo posti l’una perpendicolarmente all’altro. Sulle mie gambe custodisco gelosamente il mio zaino. 

La corsa continua, Barbero parla di donne condannate. Il tram frena all’improvviso ed è tutto molto veloce: l’uomo in giacca blu mi cade addosso, non prima di essersi parato con le braccia. Le sue mani mi arrivano alle gambe e alla spalla, con una stretta stranamente salda per una caduta improvvisa. Mi guarda con uno sguardo che non mostra vergogna e, a bassa voce, mi chiede scusa.

Inizio a collegare i puntini: la ragazza paonazza che corre via, il tocco di quelle mani sul mio corpo che ancora non so come definire… ma no, troppe coincidenze, è stato un incidente. Barbero, intanto, è arrivato al processo di Giovanna d’Arco.

Mancano meno di dieci minuti alla mia fermata, siamo giunti al Ministero dell’Istruzione. Le porte si aprono, le persone entrano, tante, tutte di fretta, sembrano una poltiglia incolore che si comprime in questo spazio ristretto. Sono troppo distratta per accorgermi che il mio compagno di sedile, l’uomo gigante, ha approfittato della situazione per allargare le gambe, far finta di cogliere qualcosa che è caduto a terra e poggiare, per la seconda volta, la sua mano sulla mia coscia.

Tutto succede in un attimo: una stretta forte sulla mia carne, violenta, ingiusta. Gli occhi dell’uomo si accendono, a me sembra che stiano andando in fiamme. La sua mano resta sulla mia gamba, il podcast è giunto alla condanna di Giovanna d’Arco. Il rogo, il fuoco… cosa sta succedendo? Ho paura…

Mi alzo di scatto, forse sto urlando perché tutti mi guardano. “Cosa sta facendo?”

L’uomo dalla giacca blu mi risponde, preoccupato dagli occhi che ora lo stanno fissando: “Niente, stavo scivolando… torna qui, non è successo niente”. Non mi ha nemmeno chiesto scusa. 

Gli occhi cominciano a bruciarmi, i lati della bocca tremano. Mi faccio spazio tra la folla di persone che ci guarda con tanta curiosità, ma nessuno ha voglia di intromettersi. Esco dalla porta centrale, poco importa se mancano ancora tante fermate alla mia: devo abbandonare quel tram. E sperare che quell’uomo non mi segua. Sono fortunata: non lo fa. 

Mi manca il respiro. Non mi era mai successo di ricevere attenzioni non richieste. Ero una di quelle che quasi si vantava con le amiche di non aver mai avuto a che fare con una molestia. Ora, invece, è toccato a me, come se stessi aspettando questo momento, come se sapessi inconsciamente che, prima o poi, ci sarei andata di mezzo pure io. Mi sale l’angoscia nel pensare che siamo addestrate fin da piccole a ritenere inevitabili atteggiamenti così meschini, codardi, violenti.

Barbero continua a parlare, ma io non lo ascolto più. Metto in pausa il podcast, mi gira la testa, ho bisogno di calmarmi. Il tram, intanto, riparte.

Mi incammino verso casa. Per oggi, basta mezzi pubblici. Sono troppo frastornata per rendermi conto che, a pochi passi da me, sta camminando anche la ragazza con il cappotto cammello. Anche lei è scesa a questa fermata: forse è la sua, forse aveva solo paura come me. Ci scambiamo uno sguardo pieno di parole e continuiamo per le nostre strade.

Alessia Capasso

Illustrazione di Sonia Giampaolo

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Alessia Capasso

Irpina di nascita, comunicatrice per scelta. Il primo libro che ho letto: un'antologia di miti greci a sette anni. Mi sento veramente felice quando visito un castello antico. Parlo di cultura, con uno sguardo sempre rivolto al passato, e tematiche sociali.
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