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Peter Pan: chi ha detto che è un libro per bambini?

Non so a voi, ma riprendere in mano un libro che ho letto da bambina, mi fa sempre sovvenire dolci ricordi.

Le prime lacrime, le prime letture, i primi amori, i primi litigi: leggendo tutto si colora e finalmente ci si libera dei pensieri della vita quotidiana da “adulto”.

Le parole volano nell’aria e con esse anche la nostra immaginazione, si creano immagini vivide ed i personaggi prendono vita. Principi, fate, mostri, maghi, streghe, animali parlanti, boschi, ruscelli, nuvole, stelle… tutto, reale ed immaginario, prende forma.

Lo scorso mese dopo un periodo no, ho sentito l’esigenza di far scivolare nuovamente le mie dita tra le pagine di un romanzo che ho tanto adorato, e che mi hanno fatto riscoprire con tanto amore a distanza di anni: Peter Pan.

Il personaggio già apparso in precedenza in un racconto del 1902 L’uccellino bianco, il cui autore è sempre J. M. Barrie, si presenta come un Peter Pan diverso, preadolescente e che già sa volare.

Già dagli esordi il fantomatico Peter si mostra molto triste, ostile e lontano dalla realtà: il mondo, la società che lo ha visto nascere e crescere lo ripudia e scappa, scappa via e si rifiuta di crescere.

Ed è in un’isola che non c’è che trova conforto, che trova la possibilità di poter essere sé stesso, per sempre. È lì dove finiscono tutti i bambini abbandonati e non più “reclamati” dalle famiglie; è l’isola dopo la “seconda stella a destra, poi dritto fino al mattino” così come cantato dal cantautore Eduardo Bennato.

Lì vive tantissime avventure insieme ai bambini e agli esseri magici, che normalmente conoscono rabbia, gelosia, felicità, nostalgia, amarezza, paura.

Quindi, dopotutto, nonostante i tentativi di sfuggire alla vita e alla crescita, alcuni (ri)sentimenti sono inevitabili. Con le sue avventure, Peter Pan ci dimostra come la crescita sia necessaria e sia essa stessa un romanzo.

Nella vita tutti siamo un po’ Peter, un po’ Wendy, un po’ Campanellino, ed anche un po’ Capitan Uncino… L’importante è non dimenticare che “Solo chi sogna, può volare!”.

Bisogna imparare a volare più alto delle convenzioni, delle dicerie, della società, della falsità.

Volare più alto e continuare sempre a sperare.

Ed è questo ciò che Peter ci insegna: nulla vale quanto la gioia di essere liberi di essere sé stessi. Da soli ed in compagnia.

E proprio come Giovanni Pascoli, ci esorta a ritrovare e a riappacificarsi con il “fanciullino” che è in noi:

«È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi […] ma lagrime ancora e tripudi suoi.

Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia.»

Il fanciullino, incipit del I capitoletto

Antonietta Della Femina

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Antonietta Della Femina

Classe ’95; laureata in scienze giuridiche, è giornalista pubblicista. Ha imparato prima a leggere e scrivere e poi a parlare. Alcuni i riconoscimenti e le pubblicazioni, anche internazionali. Ripete a sé e al mondo: “meglio un uccello libero, che un re prigioniero”. L’arte è la sua fuga dal mondo.
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