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La storia di Carmela: rosa, pietra e stella

Se conosciamo anche solo un briciolo della tradizione napoletana, abbiamo sentito almeno una volta la canzone storica “Carmela”. Ma chi era Carmela? Ve lo siete mai chiesto? Com’è nata questa poesia in musica?

Stu’ vico niro nun fernesce maje
e pure ‘o sole passa e se ne fuje
ma tu staje llà, tu rosa, preta e stella
Carmela, Carmè

Questi i versi iniziali di Carmela, cantata nel 1975 da Sergio Bruni con il testo di Salvatore Palomba.

Siamo tra il Corso Garibaldi e l’Arenaccia, in un vicolo scuro, che non finisce mai, ogni tanto si fa vedere il sole ma poi sparisce, fugge via. Il vicolo è quello dove è cresciuto Salvatore Palomba: Tutti i Santi. Il poeta ripensa ai versi che ha scritto la sera prima, riferendosi proprio al vicolo dove è nato.
Siamo in una trattoria di Posillipo, è una sera di agosto del 1975.

Una ragazza si muove tra i tavoli, sembra timida, schiva, prende le ordinazioni ma non dà confidenza ai clienti. Ha capelli lunghi e neri, lo sguardo fiero di rosa, pietra e stella. Incrocia per un attimo gli occhi del poeta, ed è lì che nasce tutto.

C’è da dire che quando Palomba scrive la canzone non ha in mente solo una donna, ma una città intera. Una città femmina piena di grazie e troppe volte usurpata, che piange e nessuno la vede, che urla e nessuno la sente. Carmela è Napoli, la Napoli sventrata del dopoguerra, la Napoli di Zazà, dei militari americani, la città sofferente ma coraggiosa e fiera, che prova a dimenticare il suo passato, ad inseguire un futuro.

Tu chiagne sulo si nisciuno vede
e strille sulo si nisciuno sente
ma nunn’è acqua ‘o sanghe dint’e vene
Carmela, Carmè

Una storia di destini che si incontrano, ma anche la storia di una canzone entrata di diritto, grazie alla straordinaria interpretazione di Sergio Bruni, che l’ha musicata, nell’immaginario collettivo di un popolo. Bruni e Palomba all’epoca erano già molto amici. In quei giorni Bruni rimane colpito da un’intervista sul Mattino: Raffaello Causa, personaggio di spicco della cultura napoletana, sostiene che la canzone napoletana è morta. Allora Bruni, come sfida personale, prende una delle più belle poesie di Palomba e la musica.


Con la sua voce riesce ad esprimere la malta dei fonemi antichi, l’eco rurale della civiltà contadina che si impasta con il progresso urbano, con le urla dei vicoli, con la storia.

Anni più tardi, quando Carmela diventa un classico, il maestro Bruni si mette alla ricerca della misteriosa ragazza che serviva ai tavoli.
Oggi, quella ragazza ha 67 anni, si chiama Carmela Abbate e gestisce il ristorante Zi Teresa, al Borgo Marinaro, con i figli Stella, Serena e Antonio.

Lo sguardo è ancora quello fiero di una volta, è cresciuta tra i fornelli di un’elegante trattoria di famiglia, la cucina è sempre stata la sua vita. A 18 anni era già conosciuta come una delle migliori cuoche di Napoli. A Posillipo conosce Mario Della Notte, suo futuro marito e proprietario del ristorante Giuseppone a mare. Il maestro Bruni va a trovarla un paio di volte, la prima volta le racconta della canzone e lei rimane senza parole: Carmela si rispecchia in quel testo di dolore e di solitudine, il testo le mette i brividi.

Grazie a Carmela, tutti abbiamo capito che la vita è fatta di destini che si incrociano, specchi riflessi, storie che si rincorrono, che l’amore è il contrario della morte, che il domani è soltanto speranza, che le notti forse, un giorno, finiranno.

Si l’ammore è ‘o ccuntrario d’a morte
E tu ‘o ssaje
Si dimane è sultanto speranza
E tu ‘o ssaje
Nun me può fa’ aspettà fino a dimane
Astrigneme int’e braccia ‘pe stasera
Carmela Carmè

Lucia Russo

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Lucia Russo

Lucia. Amante della luce per destino: nomen omen. Tuttavia crede che per arrivare a quella luce ci sia bisogno del caos e della contraddizione, scrutarsi dentro, accettarsi e avere una profonda fiducia in sé stessi. Il rimedio a tutto il resto: una buona porzione di parmigiana di melanzane.
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