SocialePrimo Piano

Senza velo

Si chiamava Mahsa Amini e aveva 22 anni. Oggi Mahsa Amini non c’è più, la sua vita stroncata via dalla brutalità di un sistema in cui le donne sono reputate inferiori, sottomesse e degne di essere punite per nulla. 

È quello che è successo a Mahsa, arrestata dalla polizia morale di Teheran perché non portava il velo in maniera “appropriata”. Sarà quella la sua condanna a morte, un velo messo male è bastato a decidere della vita di una giovane donna. 

Subito dopo l’arresto, Mahsa viene portata in una stazione di polizia e, fatalmente, tre ore dopo viene portata all’ospedale di Kasra in coma. Secondo gli agenti della polizia, la ragazza avrebbe avuto un infarto, ma le proteste della famiglia non tardano ad arrivare: Mahsa ha sempre goduto di ottima salute. È proprio la famiglia a denunciare gli atteggiamenti brutali della polizia, affermando che la ragazza è stata portata via per assistere a un’ora di rieducazione

Molte sono le proteste che si sono levate non appena la notizia della morte di Mahsa, avvenuta in ospedale, si è diffusa. Si denunciano le leggi iraniane repressive e brutali nei confronti delle donne, alle quali è persino negato l’accesso negli uffici governativi e nelle banche se non vestite secondo i codici di abbigliamento islamico. Si denuncia l’esistenza stessa della polizia morale, che viene definita “pattuglia di assassini”. 

Tra queste voci, c’è anche Amnesty International, che scende in campo tornando a denunciare la legge sull’obbligo del velo introdotta dal 1979, definendola degradante e discriminatoria. 

Al funerale di Mahsa hanno partecipato diverse donne che, per protesta, si sono sfilate il velo. Un atto di coraggio, ma anche di disperazione, da parte di queste donne che ancora oggi non hanno libertà di esprimersi come meglio credono… perché sì, anche l’abbigliamento è una fondamentale forma di espressione. Si tratta di una chiara violazione dei diritti umani, abusati senza ritegno e senza il minimo rimorso. 

L’ennesimo esempio di come la strada per far sì che si arrivi alla parità di genere è estremamente lunga e travagliata, in alcuni Paesi più di altri. Le donne si trovano ancora in uno stato di inferiorità e, semmai dovessero tentare di ribellarsi e farsi valere, pagano un caro prezzo e, nel peggiore dei casi, persino con la vita. 

Dall’Ungheria che ha imposto alle donne di ascoltare il battito cardiaco del loro feto prima di abortire, all’Iran dove anche il semplice abbigliamento può essere motivo di torture, sembra che l’umanità stia facendo passi indietro. 

Scusaci, Mahsa, se siamo ancora a questo punto. Scusaci perché alcuni di noi davvero pensavano che a questo punto le cose sarebbero cambiate in meglio e che per noi donne non sarebbe stata più così dura. Scusaci perché evidentemente ci sbagliavamo, ci siamo illusi e a pagarne il prezzo più alto sei stata tu e tutte quelle donne che ingiustamente sono state torturate, rinchiuse e uccise. 

Scusaci perché ogni giorno ci rendiamo conto di quanta strada ancora abbiamo da fare, di quanto sudore ci aspetta, di quante volte sbatteremo la testa contro le convinzioni incrollabili dei nostri governi, di quante lacrime ancora verseremo. E in quelle lacrime ci saremo noi, ci saranno le donne del futuro e ci sarete voi, donne forti e coraggiose che avete pagato con la vita un briciolo di libertà. 

Scusaci, Mahsa Amini, siamo stati ingenui.

Anna Illiano

Illustrazione di Sonia Giampaolo

Leggi anche: L’Ungheria e l’aborto: una relazione difficile che continua ad (in)volversi

Anna Illiano

Anna Illiano (Napoli, 1998) è laureata in Lingue e Letterature euroamericane e si sta specializzando in editoria e giornalismo presso La Sapienza di Roma. Ha un blog personale “Il Giornale Libero” ed è articolista per il magazine La Testata. Dal 2021 collabora occasionalmente col giornale “il Post Scriptum”
Back to top button