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Perché il personale è politico e cosa significa?

Riferendosi ai gruppi di autocoscienza femminista, nel 1970 Carol Hanisch scriveva sulla rivista Notes from the Second Year: Women’s Liberation.

Una delle prime cose che scopriamo in questi gruppi è che i problemi personali sono problemi politici. Non ci sono soluzioni personali in questo momento. C’è solo un’azione collettiva per una soluzione collettiva.”

Per comprendere la portata storica e le potenzialità emancipatrici di queste parole da cui è tratto lo slogan il personale è politico, dobbiamo fare riferimento ai movimenti e gruppi femministi degli anni Settanta con la cosiddetta seconda ondata femminista che si inserisce in un più ampio clima di proteste e rivendicazioni sociali, sulla scia delle suffragette e delle rivolte studentesche dei decenni precedenti.

Nel corso degli anni Settanta sempre più donne avvertivano l’esigenza di raccontarsi e confrontarsi tra loro sui propri problemi ed esperienze quotidiane, così nascevano i gruppi di autocoscienza femminile caratterizzati da un’impronta fortemente politicizzata.

Parlando ed esternando in gruppo quelli che a molte donne sembravano problemi di carattere personale, diventava sempre più chiaro come quegli stessi problemi fossero comuni a molte altre, di conseguenza il personale non era più un fatto meramente individuale ma scopriva le sue problematiche ed oppressive radici sociali.

Il risvolto di questa presa di consapevolezza fu una necessaria politicizzazione di questi gruppi poiché di fatto si riconosceva che solo attraverso un’azione e un attivismo collettivi si potevano portare alla luce e tentare di risolvere quei conflitti e problemi sociali supposti individuali e come tali, troppo spesso celati e nascosti.

L’attenzione focalizzata sulle influenze e le radici socio-culturali dei problemi del singolo porta inevitabilmente con sé anche una riflessione sulla posizione più o meno privilegiata che ciascuno/a occupa all’interno della società.

Il concetto di privilegio è fondamentale per poter rapportarci in modo più consapevole agli altri ed essere solidali, soprattutto verso chi, ad esempio, non presenta tutta una serie di caratteristiche considerate nella nostra società occidentale la “norma” come ad esempio l’essere bianco, cisgender ed eterosessuale.

Scoprire la comune oppressione sociale portava con sé la consapevolezza per le femministe degli anni Sessanta e Settanta di dover agire individualmente e collettivamente a nome di tutte.

Il personale è politico in conclusione significa, come abbiamo visto, considerare i problemi del singolo come problemi collettivi come frutto di un certo sistema di relazioni di potere sedimentatosi nel tempo ma non per questo immutabile.

Da ciò discende l’altro fondamentale significato dello slogan “il personale è politico” cioè che ogni nostra azione è politica nella misura in cui è inserita in una rete sociale di significati, gesti ed usanze e come tale può entrare in relazione o in conflitto con l’esistente modificandolo; si tratta della presa di consapevolezza del potere e dell’impatto che ciascuno ha e può avere con le sue azioni sull’ambiente circostante.

“Il personale è politico” non è solo uno slogan, ma un modo di vivere che non lascia adito a facili deresponsabilizzazioni e al pensiero che una giusta lotta sociale che non ci riguarda nello specifico esoneri dalla nostra partecipazione.

Comprendere che il personale è politico unisce le lotte antirazziali, antifasciste, femministe, ambientali, quelle per i diritti LGBTQ+, solo per citarne alcune, creando così delle connessioni affettive ed umane che non escludano nessun oppresso/a ed incoraggino ciascuno a fare la propria parte per garantire i diritti fondamentali ed una vita sicura ad ognuno.

Le parole che si leggono nella dichiarazione di Port Huron, manifesto studentesco del 1962 sono in tal senso emblematiche: “è tempo di riaffermare il personale. Una nuova sinistra deve dare forma a sentimenti di impotenza e indifferenza in modo che le persone possano vedere le origini politiche, sociali ed economiche dei loro problemi privati e organizzarsi per cambiare la società.”

Benedetta De Stasio

Benedetta De Stasio

Filosofa per vocazione e plant mom a tempo pieno. Scrivo, coccolo gatti e mi piace cimentarmi in cose che non so fare, come dipingere, cantare e cucinare. Colleziono emozioni e frammenti di vita quotidiana. Credo nel vivi e lascia vivere e che piccoli gesti ed attenzioni possano cambiare il mondo.
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