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Una mano lava l’altra. Il tentativo di The Ocean Cleanup

Un giorno, guardando il mare, durante un viaggio in Grecia, un ragazzo di sedici anni, contando più sacchi di plastica che pesci, ha pensato: «Non basterebbe solo ripulire?»

Nel 2012, questo ragazzo presentava, in una conferenza TEDx, la sua personale soluzione per riuscire a risolvere definitivamente l’inquinamento delle acque dalla plastica, utilizzando la tecnologia.

Poco dopo il suo video diventava virale e l’eccitazione tanta da spingerlo a fondare, su un’idea, un’organizzazione. Nasceva, così, un sistema basato sulla forza della natura: la potenza del vento, l’irruenza delle correnti e la luce del sole.

Questo ragazzo era Boyan Slat, l’obiettivo era la pulizia degli oceani dai residui plastici e la fondazione no profit è The Ocean Cleanup.

Nel 2018, Slat – inventore e imprenditore olandese di origini croate – ha dato avvio al primo Ocean Cleanup System, stabilendo il quartier generale dell’organizzazione a Delft, nei Paesi Bassi.

La sua ricerca, approfondita più concretamente dal 2013, si concentra sul problema della plastica nei mari. Prendendo come punto di riferimento il Great Pacific Garbage Patch, è stato possibile monitorare lo spostamento della massa di rifiuti e quantificare il livello di inquinamento delle acque.

Il danno che le azioni dell’uomo hanno provocato all’intero ecosistema e alla salute degli esseri viventi è ormai ponderabile: l’inquinamento marino nel mondo è uno dei più rilevanti problemi ambientali del nostro tempo, con quasi 700 specie marine in pericolo.

Ogni anno sono gettate in mare circa otto tonnellate di plastica che, nel lentissimo processo di decomposizione, si frantumano in pezzi microscopici che rischiano di finire ovunque, anche nel nostro organismo. Non c’è più tempo.

Attraverso una serie di spedizioni oceaniche, il team di esperti di The Ocean Cleanup si è occupato di studiare la distribuzione dei frammenti di plastica negli oceani, proponendo metodi, tecnologie e strumenti di riciclaggio della plastica oceanica, che fossero considerati economicamente e tecnicamente sostenibili.

Il primo test – realizzato in mare nel 2015, in una zona limitata e controllata – aveva evidenziato drammaticamente i punti deboli del progetto: una corrente eccessivamente forte o delle onde troppo alte avrebbero impedito di catturare i residui che si trovavano nei paraggi.

Ma la tenacia non è mai mancata e le ricerche non si sono fermate neanche un momento. Si è giunti così al modello definitivo: individuazione, raccolta, estrazione e riciclaggio.

Il progetto consiste in un impianto formato da un tubo galleggiante lungo fino a due chilometri che concentra la plastica su un unico punto, per poi facilitarne la raccolta. Una volta estratta, la plastica viene etichettata, registrata e sigillata, fino all’innovativo processo di riciclaggio, consistente nella creazione di occhiali da sole composti unicamente con plastica oceanica certificata.

Un paio di occhiali ha il costo di circa 200 dollari, di cui il ricavato viene utilizzato per finanziare nuovi e necessari iniziative. A questo, si aggiungono le ingenti donazioni che The Ocean Cleanup continua a ricevere da chi spera di contribuire alla continuità di un progetto tanto rilevante quanto impegnativo.

Ma Boyan Slat e il suo team non si sono concentrati solo sugli oceani. Hanno seguito il percorso che la plastica compie, prima di disperdersi nell’immensità dell’oceano, attraversando mari, fiumi e piccoli corsi di acqua e hanno attivato, a questo scopo, tre progetti Interceptor in Indonesia, Malesia e Repubblica Dominicana.

Al momento The Ocean Cleanup può raccogliere più di 5 tonnellate di plastica al mese, ma l’obiettivo è quello di eliminare il 50% di rifiuti nel Great Pacific Garbage Patch in cinque anni e il 90% della plastica in tutti gli oceani entro il 2040.

Boyan, volontari e donatori stano facendo la loro parte. Proviamo a fare lo stesso, perché un giorno, forse non troppo lontano, un ragazzo qualsiasi di sedici anni, guardando il mare, possa finalmente dire: «Hai visto che alla fine bastava solo ripulire?»

Stefania Malerba

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Stefania Malerba

Sono Stefania e ho poche altre certezze. Mi piace l’aria che si respira al mare, il vento sulla faccia, perdermi in strade conosciute e cambiare spesso idea. Nel tempo libero imbratto fogli di carta, con parole e macchie variopinte, e guardo molto il cielo.
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