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Focus on Weegee: l’occhio di New York

Fotografo freelance e fotoreporter, Weegee è considerato uno dei maestri della storia della fotografia.

La sua vita ha ispirato quella del protagonista del film Occhio indiscreto, diretto da Howard Franklin nel 1992.

Nel film si parla di Leon Bernstein (Bernzy), fotografo che utilizza la macchina fotografica come appendice del suo occhio per immortalare scene di vita vera, principalmente di notte.

Registrato all’anagrafe con il nome di Ascher Fellig, poi anglicizzato Usher e dal 1910 cambiato in Arthur, è il secondo di sette fratelli. Ascher nasce a Zloczew (allora provincia di Galizia e Lodomiria, dal 1991 appartenente all’Ucraina) nel 1899, dall’unione di Rachel e Bernard Fellig, entrambi di fervente fede ebraica.

A causa dei già diffusi movimenti antisemiti, nel 1906 il padre Bernard –raggiunto qualche anno dopo da moglie e figli – è costretto a trasferirsi in America, dove si dedica ai più umili mestieri pur di mantenere la famiglia: da venditore ambulante a Manhattan a portiere in cambio dell’affitto di un piccolo appartamento.

A ridosso dei suoi 18 anni, ormai abbandonati gli studi per contribuire all’economia familiare e oppresso dalle rigide regole che gli vengono imposte, abbandona la casa paterna, cominciando a vivere da senzatetto, dormendo tra i parchi pubblici e la stazione ferroviaria Pennsylvania Railroad.

Fotografò le notti di New York, la città degli ultimi, delle retate e degli omicidi.

Le origini umili lo spinsero ad adattarsi alle più svariate occupazioni, fino a trovare la sua passione. Pare sia questo il periodo in cui il ragazzo si avvicina al mondo della fotografia, lavorando prima come aiutante di camera oscura, poi come assistente, successivamente come fotografo di passaporti e, infine, come ritrattista di strada.

Mentre matura il progetto di aprire un proprio studio fotografico, nel 1918 Arthur comincia a farsi spazio sulla scena, lavorando presso lo studio fotografico Ducket & Adler a Grand Street, nel Lower Manhattan, e all’inizio del nuovo decennio come assistente di camera oscura presso il New York Times e il Wide World Photos, il collegato sindacato di fotografi.

Poco tempo dopo, entra a far parte della Acme Newspictures (poi assorbita dalla United Press International Photos).

In quest’ambiente, si propone finalmente come fotoreporter, riuscendo, nonostante il suo rifiuto di indossare abiti formali, a essere inviato, occasionalmente, come fotografo nelle situazioni di emergenza.

Nel 1936 comincia a dedicarsi all’attività di fotogiornalista free-lance, iniziando, con la sua fidata Speed Graphic in mano, una frenetica attività di indagine che lo porterà alla frequentazione assidua del quartier generale della Polizia di Manhattan.

In breve tempo, la sua fama si diffonde talmente all’interno del Dipartimento di Polizia a Spring Street che l’uomo decide di porre il centro della sua attività all’interno dell’Ufficio Persone Smarrite. Qui mantiene contatti, fa chiamate, riscuote compensi e organizza incontri.

La definitiva installazione del suo ufficio presso il Dipartimento gli permette di essere sempre presente sul “luogo del crimine”, arrivando contemporaneamente alla polizia, o addirittura anticipandola, nei luoghi di assassini, risse notturne, incidenti e incendi.

Amava avvicinarsi alla realtà umana, rappresentandone gli aspetti più sordidi e squallidi, mostrando gli orrori della miseria e della violenza della città che amava.

È in questi tempi che si diffonde il nome d’arte Weegee, la cui origine rimane tuttora controversa. Weegee non si preoccupò mai di risolvere il mistero, ma le ipotesi più accreditate fanno riferimento alla sua capacità di “prevedere il fatto” e apparire tempestivamente sulla scena del crimine newyorkese.

Secondo alcuni sarebbe l’equivalente della parola Ouija, pronunciata in inglese [ˈwiːdʒə]. Secondo altri, invece, era il risultato di una domanda che, sarcasticamente, gli era stata posta da un poliziotto sul possesso o meno di una tavola, mezzo di comunicazione con l’aldilà.

Tra gli anni trenta e quaranta, una serie ricchissima di scoop fotografici viene pubblicata negli articoli di cronaca delle principali testate newyorkesi. È il periodo di maggiore successo per la sua attività, tanto che nel 1940 la sua fama è talmente riconosciuta che il progressista quotidiano serale PM Daily gli affida la creazione di foto-storie di sua scelta.

Ne seguono la prima mostra al Photo League di New York aperta con il titolo Weegee: Murder is My Business e la pubblicazione di Naked City, il primo catalogo di fotografie cui segue una campagna pubblicitaria nazionale, che ispirerà l’omonimo film (1948).

Trascorre i decenni successivi destreggiandosi tra la fotografia e la produzione cinematografica. Si avvicina all’arte del cortometraggio – Weegee’s New York (20 minuti, bianco e nero, muto, in 16mm); Cocktail Party (5 minuti, bianco e nero, muto, in 16mm) – che forse gli sembra poter rappresentare in una dimensione di movimento la realtà che lo circonda.

Non abbandona, però, la “staticità” della fotografia, sperimentando obiettivi e strumenti ottici. A New York realizza la serie “distorsioni”, caricature dei ritratti di celebrità dello spettacolo e del mondo politico, raccolte e pubblicate insieme a Mel Harris in Naked Hollywood

Dal 1950 produce fotografie, film, progetta libri e presenta lezioni, continuando a viaggiare per l’Europa, come collaboratore del Daily Mirror, fino alla morte che lo coglie nel 1968 proprio a New York, la città che aveva accolto la sua famiglia e di cui Weege aveva scavato le più profonde atrocità.

«Ho scattato le immagini più famose di un’epoca violenta, le foto che tutti i grandi quotidiani, con tutte le loro risorse, non riuscivano ad avere ed erano costretti a comprare da me. E scattando quelle foto, ho fotografato anche l’anima della città che conoscevo e amavo».


Stefania Malerba

Vedi anche: Focus on: Vivian Maier, emblema della street photography

Stefania Malerba

Sono Stefania e ho poche altre certezze. Mi piace l’aria che si respira al mare, il vento sulla faccia, perdermi in strade conosciute e cambiare spesso idea. Nel tempo libero imbratto fogli di carta, con parole e macchie variopinte, e guardo molto il cielo.
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