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Squid Game, la serie (non troppo) perfetta di Netflix

Ha spopolato su Netflix la serie coreana Squid Game ed è pensiero unanime che si tratti di una serie avvincente e spettacolare.

Ma analizziamola dal punto di vista del nonsense: ecco una lista delle 5 cose poco sensate che questa serie mostra

Attenzione: allerta spoiler!

Questa serie tv coreana è stata decisamente apprezzata dal grande pubblico di Netflix. Ovunque spopolano video, meme, spezzoni presi dalle puntate principali della serie. Non c’è dubbio che sia una serie ben fatta e ancora una volta – soprattutto per gli appassionati di cinema coreano come me – si ha la dimostrazione che i coreani ci sanno proprio fare quando si tratta di recitare. 

Però è anche vero che ci sono state delle falle, dei buchi strani in cui certe cose diventavano poco chiare e a tratti insensate. Vediamone insieme cinque.

La prima è il mancato sviluppo di personaggi presentati come importanti. È il caso di Ji-yeong, che entra in squadra con Kang Sae-Byeok e gli altri durante il gioco del tiro alla fune. Fin da subito lo spettatore si trova faccia a faccia con un personaggio presentato come importante: è l’unica che Sae-byeok, nella sua totale diffidenza, ha deciso di avvicinare, chiedendole di far squadra con lei e gli altri. Eppure, il suo personaggio non viene sviluppato, la sua fine lascia di stucco e anche un po’ tristi i fan che si aspettavano di più dal suo personaggio, che pensavano che avrebbe avuto un ruolo decisamente più rilevante di quello che poi ha avuto. 

Altro personaggio poco sviluppato è quello di Han Mi-nyeo. Nonostante il suo carattere poco piacevole, di lei sappiamo che ha dato alla luce un figlio, ma che non ha avuto tempo di dargli un nome (sarà vero o è una bugia?), ma della sua storia sappiamo poco, anzi nulla. Eppure, il suo è un personaggio che ha molto risalto all’interno della serie, con diverse scene di spessore (basti vedere la sua morte tragica e dalla forte carica spettacolare).

La seconda è: com’è possibile che ogni anno scompaiano oltre quattrocento persone senza che si desti alcun tipo di sospetto? È vero, si tratta di reietti, persone indebitate fino alla punta dei capelli di cui la società farebbe benissimo a meno, ma anche loro hanno una famiglia. Nessun familiare cerca i propri cari scomparsi? Nessuno si chiede dove siano finiti? Strano…

La terza cosa davvero strana, quasi insensata, la troviamo nella scena in cui frontman vede il poliziotto – che, tra l’altro, è suo fratello – scappare davanti ai suoi occhi e prendere il kit per le immersioni. Com’è possibile che il poliziotto, a nuoto, riesca a raggiungere l’altra isola prima di frontman e dei suoi uomini che usano un gommone a motore? È vero, sì, che il poliziotto aveva un minimo di vantaggio, ma era un vantaggio – appunto – minimo e comunque destinato a diventare svantaggio.

Quarta cosa nonsense risiede nel principio stesso che soggiace a tutti i giochi: il principio di equità. Secondo gli organizzatori del gioco, ogni giocatore deve avere le stesse opportunità e gli stessi mezzi degli altri, ma se si prende in considerazione il quinto gioco – quello in cui i giocatori devono saltare sulle lastre di vetro e cercare di non cadere – risulta ovvio che questo principio non viene rispettato. 

È palese lo svantaggio dei primi giocatori rispetto agli ultimi e, in particolare, dei giocatori poco esperti rispetto a quelli esperti (l’esempio è quello dell’uomo che ha lavorato per tutta la vita in una vetreria e riesce a distinguere tra il vetro “buono” e quello “cattivo”). 

Altro esempio di questo tipo lo troviamo nella persona di 001, l’anziano signore che poi si rivela essere uno degli organizzatori del gioco. L’uomo, nonostante apparentemente sembri essere allo stesso livello degli altri, è chiaramente avvantaggiato. Come facciamo a dirlo? Semplice: quando ha perso nel gioco delle biglie e sarebbe dovuto morire… colpo di scena, non muore! Viene salvato, perché non può certo morire per davvero l’ideatore del gioco. 

Ecco che, quindi, il principio di equità non esiste per davvero. 

Ultima cosa nonsense la troviamo quasi alla fine del gioco delle lastre di vetro: l’uomo esperto che ha lavorato in una vetreria ha bisogno di tastare il vetro per capire quale sia quello resistente. Dall’ampiezza dei salti dei partecipanti si capisce che le lastre sono ad una distanza tale che, accovacciandocisi, si può facilmente raggiungere anche solo con una mano la lastra davanti e tastare la consistenza del vetro.

L’uomo, invece, decide di utilizzare – e sprecare – l’unica biglia che avevano che avrebbe invece potuto usare come riserva, peraltro andando incontro alla sua morte che forse si sarebbe potuta evitare. 

Nonostante questi momenti di nonsense assoluto – o quasi – la serie risulta godibile, accattivante, splatter al punto giusto, fatta per un pubblico a cui piace il genere thriller e a cui piace vedere sangue che schizza ovunque. 

Se non l’avete ancora vista spero che non siate arrivati a questo punto dell’articolo, ma nel caso non scoraggiatevi e correte a vederla… prima che il tempo scada.

Anna Illiano

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Anna Illiano

Anna Illiano (Napoli, 1998) è laureata in Lingue e Letterature euroamericane e si sta specializzando in editoria e giornalismo presso La Sapienza di Roma. Ha un blog personale “Il Giornale Libero” ed è articolista per il magazine La Testata. Dal 2021 collabora occasionalmente col giornale “il Post Scriptum”

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