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Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli: grazie Marvel, continua a farci sognare!

L’ultima fatica Marvel, Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, ha avuto la sua trionfale premiere il 2 settembre.

Dopo due anni di pandemia, il film è uscito – finalmente, aggiungerei – nel luogo a esso deputato: il cinema.

Ed è un film che ci riporta ad un quesito essenziale: come abbiamo potuto vivere due anni senza cinema? Perché non ci andiamo tutti i giorni, sfoderando il nostro green pass nuovo di zecca, in cerca di sogni e meraviglie? Non so, ma credo seriamente che dovremmo. Tutti.

Shang-Chi, un personaggio minore nei fumetti Marvel, è invece riscoperto dal capoccia Kevin Feige e incasellato nell’universo degli Studios con un ruolo di importanza assoluta, quasi urgente. L’oggetto magico, protagonista e catalizzatore delle vicende raccontate dal film, sono infatti dieci potentissimi anelli, in grado di donare a chiunque li indossi i poteri di un dio. Ma questo antichissimo artefatto, le cui origini ci sono ancore ignote, giace nelle mani sbagliate: quelle di Weng Wu  (Tony Leung)– conosciuto anche come “Il Mandarino”. Weng Wu  ha terrorizzato e conquistato la Cina ed il mondo intero, gestendo le poltiche mondiali e le guerre per mille anni. La potenza degli anelli lo rende imbattibile, un superuomo tra i mortali.

E Weng Wu ha monopolizzato, dalla sua organizzazione segreta (chiamata, appunto, “I Dieci Anelli”, per risparmiare tempo e fantasia nella scelta del nome della propria setta criminale) di spie e assassini, tutto l’universo Marvel (finora conosciuto). Ma Weng Wu, la cui carne è debole come quella degli esseri umani nonostante i poteri divini, non riesce a resistere ad un richiamo primordiale: quello dell’amore.

Quando incontra una donna (no, non una qualsiasi perché figurati eh) guerriera – Leiko Wu, difensore della città ultraterrena di Ta Lo – e viene letteralmente “abboffato di mazzate”, Weng Wu trova un motivo per invecchiare. Trova, dunque, una risposta al suo continuo vagare: la famiglia, la moglie, i figli Shang- Chi (Simu Liu) e Xialing (Meng’ er Zhang). Messi da parte gli anelli del potere, Weng Wu passa le sue serate a giocare a Dance dance Revolution insieme a Leiko e i bambini. Cacciati dal mondo fatato di Ta Lo a calci nel sedere per via dei pessimi gusti di Leiko in fatto di uomini, i quattro conducono una vita normale, nel mondo civile. Leiko perde i suoi poteri, Weng Wu la sua arma: è un matrimonio pacifico, equo. 

Ma il passato, si sa, soprattutto sei hai passato mille anni a devastare i c…i altrui, prima o poi torna a bussare alla porta. Dei vecchi nemici di Weng Wu scoprono il suo nascondiglio d’amore e vogliono vendicarsi: peccato che il diretto interessato non sia in casa. Insomma, Leiko muore e la famiglia è devastata. Weng Wu torna cattivo, indossa gli anelli, i figli vengono abbandonati e bistrattati, Shang-Chi allenato come una macchina da guerra. A quattordici anni, come ogni adolescente ribelle, finalmente scappa di casa per trovare rifugio dove tutti gli eroi ed i cataclismi capitano casualmente all’unisono: gli States.

Ed è da qui – dal primo incontro con uno Shang-Chi adulto e la sua migliore amica Katy (la comica e rapper Awkwafina) – che comincia una parabola crescente di scoperta, amore, passaggio, accettazione. I vari stadi della vita di ogni individuo, il rapporto con genitori e fratelli, il conflitto del ragazzo in crescita con il padre, gli insegnamenti della madre, vengono a coesistere in una trama avvincente ed emozionante.

Il vero successo del film è la sua capacità di coniugare l’universo Marvel, consolidato e forte dei suoi elementi familiari, con l’immaginario mitologico cinese. La riuscita del film è proprio nella sua capacità di inserirsi trasversalmente tra le due culture, riuscendo a meravigliare l’Occidente e a compiacere l’Oriente. Un film pensato con in mente due mitologie, ma incasellato perfettamente nelle sue intenzioni di blockbuster di alta qualità. I combattimenti sono coreografati magistralmente, l’equilibrio tra emozione e comicità è tenuto con un’abilità presente solo nei film Marvel, mentre la fantasia può correre scatenata tra creature impossibili e palette sognanti.

Il cinema, insomma, è un sogno ragazzi. Andateci.

Sveva Di Palma

Vedi anche: Loki. Su Disney+ il lato umano del dio dell’inganno

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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