Cinema e StreamingPrimo Piano

“Madre”, quanto sei disposta a fare per salvare tuo figlio?

Fenomenale film di Bong Jun-Ho, regista di Parasite, “Madre” arriva finalmente nelle sale italiane a partire dal 1° luglio e la domanda che tutti dovremmo porci è: perché ci abbiamo messo così tanto?

Attenzione: questa recensione contiene spoiler!

Il 27 giugno, non appena ho visto la programmazione del cinema Quattro Fontane di Roma, mi sono fiondata in sala senza nemmeno pensarci due volte: dopo aver visto Parasite, capolavoro che ha vinto ben quattro Oscar nel 2019 – tra cui quello come miglior film – non potevo perdermi quest’altro film del regista coreano Bong Jun-Ho. Sarà un po’ la passione per la cultura coreana, sarà un po’ per lo stile thriller “mezzo splatter”, ma mi sono seduta in sala con una grande aspettativa, in trepidazione per tutti i venti minuti di attesa prima che il film cominciasse.

Inutile dire che Bong Jun-Ho non mi ha delusa neppure stavolta.

“Madre” (in coreano 마더) è in realtà un film del 2009 che solo quest’anno sarà finalmente distribuito qui in Italia. La trama è intrigante e coinvolgente: una madre cerca in tutti i modi di salvare il figlio Yoon Do-Joon – presumibilmente affetto da qualche disturbo o ritardo – dall’accusa di omicidio.

Fin dall’inizio si può capire come il rapporto tra madre e figlio sia piuttosto ambiguo e risulta difficile per lo spettatore non sospettare qualche incesto tra i due. La madre, comunque sia, risulta estremamente ossessionata dal figlio, tanto che, persino quando lavora, lo tiene continuamente sott’occhio e controlla ogni suo minimo movimento.

La trama scorre in maniera fluida e per nulla pesante, fino ad arrivare al fatidico arresto di Do-Joon in seguito al ritrovamento del cadavere della povera studentessa. Fin dal ritrovamento, la polizia non ha dubbi sulla colpevolezza di Do-Joon, dato che sulla scena del crimine è stata trovata una pallina da golf con la sua firma. Il caso, quindi, viene subito chiuso e Do-Joon, che sembra avere problemi di memoria, non ricorda cosa sia successo esattamente.

È la madre, a questo punto, a farsi carico del gravoso compito di provare l’innocenza di suo figlio, quindi non solo incita il figlio a concentrarsi e a ricordare cosa sia successo, ma cerca anche in tutti i modi di dimostrare che una pallina da golf non sia una prova sufficiente e che la ragazza potrebbe essere stata uccisa da uno dei tantissimi uomini con cui andava costantemente a letto in cambio di un po’ di riso (veniva, infatti, chiamata la ragazza riso, perché da quello ricavava il famoso liquore di riso coreano che faceva bere alla nonna malata).

La questione, però, si complica quando la madre incontra – con una scusa – l’uomo che sospettava essere l’assassino reale della ragazza (dopo che Do-Joon ha riferito di essersi ricordato di averlo visto sul luogo del crimine) che, però, confessa alla donna di essere stato testimone dell’assassinio commesso da Do-Joon.

A questo punto non c’è più alcun dubbio sulla colpevolezza di Do-Joon, soprattutto se si pensa ad un particolare: il ragazzo odia quando viene definito ritardato e si dà il caso che quella notte la malcapitata abbia deciso di chiamarlo proprio in quel modo dopo essere stata importunata. Errore madornale che le è costato la vita a causa di un enorme masso che Do-Joon le lancia direttamente dietro la nuca.

Dopo che l’uomo ha descritto la scena nei minimi dettagli, la madre comincia a dare di matto sostenendo che in realtà il caso è stato riaperto perché il vero colpevole si pensa essere un ragazzo ricoverato in un ospedale psichiatrico con cui la ragazza aveva dei rapporti. La prova sarebbe stata fornita dal sangue della ragazza trovato sui vestiti di lui (in realtà la ragazza era solita perdere sangue dal naso, ma nessuno chiaramente ha voluto credere ad un ragazzo psicopatico), grazie alla quale Do-Joon sarebbe stato presto scagionato. A questo punto è l’uomo a indignarsi, perché lui sa che è Do-Joon il vero assassino, che la polizia ci ha visto giusto e che sarebbe stato un grave sbaglio lasciarlo libero. Così decide di chiamare la polizia e testimoniare: errore madornale numero due.

La madre di Do-Joon afferra un attrezzo di lavoro dell’uomo e, prima che questi possa chiamare la polizia, glielo sferra ripetutamente sul cranio, arrivando ad ucciderlo. In questa scena piuttosto splatter si vede chiaramente rappresentato tutto il dolore di una madre che farebbe di tutto per salvare il figlio, pur essendo consapevole della sua colpevolezza.

Fin dove si è disposti a spingersi pur di salvare il proprio figlio? La madre di Do-Joon farebbe letteralmente di tutto per salvare un figlio assassino, anche se questo vuol dire che deve lei stessa commettere un omicidio.

Alla fine, Do-Joon viene scarcerato ed è evidente che la madre non lo veda più con gli stessi occhi di prima. Apparentemente sembra che tutto sia tornato alla normalità, ma la verità è che niente è più come prima e il danno creato da madre e figlio è ormai irreparabile. Così irreparabile che la madre, alla fine del film, decide di andare via e, durante il viaggio esegue su sé stessa una tecnica di agopuntura che, secondo le dicerie, sembrerebbe annullare tutti i brutti ricordi e cancellarli per sempre.

Ed è così che il film si chiude: con la bellissima scena finale di questa donna che, apparentemente, ha dimenticato tutto – persino l’omicidio commesso da lei stessa – e balla insieme alle altre donne sull’autobus sulle note della stessa musica che apre il film.

Cos’è “Madre”, quindi? Sembra quasi l’elogio dello spingersi oltre i limiti; l’elogio di una famiglia “difettosa” che ha milioni di motivi per finire in rovina e ben pochi per sopravvivere. È la rappresentazione di un amore materno ossessivo e pericoloso che si spinge fin troppo oltre i limiti.

È l’ennesimo capolavoro di Bong Jun-Ho che l’Italia ha conosciuto troppo tardi e, allora, per rimediare a questo grave ritardo vi invito caldamente ad andare al cinema e a non perdervi le emozioni forti che questo film vi farà provare dall’inizio fino alla fine.

Anna Illiano

Vedi anche: Parasite: l’eterna lotta fra ricchi e poveri

Anna Illiano

Anna Illiano (Napoli, 1998) è laureata in Lingue e Letterature euroamericane e si sta specializzando in editoria e giornalismo presso La Sapienza di Roma. Ha un blog personale “Il Giornale Libero” ed è articolista per il magazine La Testata. Dal 2021 collabora occasionalmente col giornale “il Post Scriptum”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button