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Cosa indossano gli artisti? Tra Bacon e Basquiat

Per un artista è fondamentale creare un personaggio che accompagni la sua storia, per questo ha bisogno dell’outfit giusto.

Ognuno di noi sceglie uno stile da seguire, degli abiti giusti da indossare come una seconda pelle, capaci di identificarci, di esprimere ciò che non diciamo. 

L’abito non farà il monaco, ma certamente dice qualcosa di noi. Il modo di vestire può identificarci relativamente a una comunità di appartenenza, al lavoro che svolgiamo, alle passioni che abbiamo, all’umore che sentiamo. Non si giudica una persona in base ai vestiti che porta, tuttavia questi possono essere simbolo di ribellione, emancipazione, libertà. 

Catapultiamoci negli anni ’70, gli anni del Punk: cosa esprimeva quel tipo di abbigliamento? Oppure, dieci anni prima, che significato ha avuto per le donne la prima minigonna? 

Per un artista l’abbigliamento può essere davvero importante. Molte figure iconiche hanno scelto e scelgono ancora di indossare gli abiti delle loro Maison preferite e le esibiscono alle loro presentazioni, apparizioni e performance

Seguendo la logica di un favoloso volo pindarico, gli abiti scenici dello stilista Kansai Yamamoto hanno contribuito a fissare nell’immaginario comune l’estetica di Ziggy Sturdast di David Bowie.


Ad ogni modo, che ci sia lo zampino di uno stilista o meno, sin da subito l’outfit dell’artista è stato identificativo anche in quei casi in cui ha primeggiato uno stile trasandato.
Francis Bacon, l’artista maledetto noto per la sua arte cubista e surrealista del ‘900, era solito indossare abiti femminili. Il suo abbigliamento gli ha creato non pochi problemi di reputazione, in particolare nel suo rapporto col padre. 

Antesignano del gender-fluid sin da giovanissimo, si potrebbe dire, era figlio di un militare e ha trascorso la sua vita non sforzandosi mai di piacere davvero a qualcuno. 

Indossava sempre pantaloni di fustagno, era quasi sempre malato, alcolizzato e giocava d’azzardo. Era un personaggio dai caratteri schizofrenici, non nel vero senso patologico, ma era maledetto perché non compreso: raccontano di lui che fosse timido, tormentato, solitario, pessimista e omosessuale.

La sua arte e il suo abbigliamento erano l’espressione di una personalità inquieta. 

Personaggio dall’animo altrettanto tormentato a causa dei suoi trascorsi di infanzia, Basquiat si è rivelato una vera e propria icona di stile. Potrebbe essere considerato uno dei principali inventori dello streetwear contemporaneo con la sua moda basata su camicie oversize, giacche di pelle e pantaloni tartan. 

È stato anche un grande esempio di eleganza dimostrando che ambiti doppiopetto non hanno età: ne ha indossato uno per Comme des Garçonsin in una versione totalmente giovanile. 


Ma ritornando allo streetwear, se si analizza lo stile di Jean-Michel Basquiat nel dettaglio è sicuramente percepito come vario perché va dall’etnico, al pop, al vintage. 

Tuttavia, se lo si osserva nel complesso è uno stile che segue un filo logico preciso, ossia la contemporaneità. Amante dell’oversize, Basquiat indossava cardigan di taglia comoda su altrettante t-shirt larghe; ma nel suo armadio la camicia era un must-have da indossare rigorosamente abbottonata dal primo fino all’ultimo bottone, mentre dipingeva, ai party con gli amici o quando era con Andy Warhol. 


Nel suo corredo di stile non poteva mancare l’outfit etnico, date le sue origini haitiane, ma neppure il gessato o i pantaloni della tuta, da indossare anche nelle occasioni più formali. 


Per il versante pop, invece, Basquiat era un fan sfegatato delle maglie con i loghi, i quali dovevano essere belli grandi e in vista al centro della t-shirt.
Negli anni ’90, l’artista fu particolarmente colpito dalla moda grunge e per questo tirò fuori dei vecchi cardigan “del nonno” da abbinare a jeans e a scarpe di pelle.  

Anche oggi, un artista non si identifica se non ha un suo stile che lo contraddistingue. Che sia trasandato o curato fino agli ultimi dettagli, un artista è riconosciuto anche per quello che indossa.
Un artista usa il suo linguaggio, il linguaggio dei suoi abiti, il linguaggio del suo lavoro.  

Pasqualina Perrotta

Vedi anche: Boom for Real: l’adolescenza di Jean- Michel Basquiat per Artecinema

Lina Perrotta

Sono nata nel ‘94, quando ormai le tastiere avevano già sostituito le macchine da scrivere. Mi piacciono le polaroid sbiadite, le prime foto bruciate di un rullino montato al sole, le pagine ingiallite di un libro, quelle vecchie poltrone di velluto e i silenzi tra le parole. Sono una filologa moderna ma anche un po’ linguista. Ho sempre una penna scarica in borsa e un cellulare tra le mani. Divoro film, libri, dischi e faccio foto sbagliate ai tramonti giusti.

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