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Il dolore delle Rastreadoras, nient’altro che un triste sottofondo al turismo messicano

Finché non c’è il corpo, non può esserci il processo.

Questa è la straziante realtà che le Rastreadoras dello stato di Sinaloa sono costrette a vivere.

Le Rastreadoras sono donne, collettivi di madri e mogli, che scavano nella polvere delle campagne che circondano le città messicane per ritrovare ciò che resta dei propri figli, mariti, fratelli o padri vittime della narcoguerra.

Oggi, gli scomparsi della narcoguerra, i cosiddetti desaparecidos, sono all’incirca 85mila. 85mila uomini, vittime di traffici criminali, fatti sparire dai cartelli della droga. Non parliamo soltanto di persone coinvolte nei giri di spaccio, ma anche di vittime innocenti di scambi di persona o testimoni oculari, che si sono trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Lo Stato messicano di Sinaloa è uno dei più pericolosi al mondo per il narcoRtraffico, difatti qui opera il cartello guidato da Joaquìn Guzmàn Loera (El Chapo), che attualmente sta scontando il suo ergastolo negli Stati Uniti. A capo dell’organizzazione, adesso, ci sarebbero i suoi figli. Tra questi, poco più di un anno fa scrissi di Alejandrina Guzmàn, dei pacchi alimentari elargiti durante il primo lockdown per Covid-19 ai cittadini di Guadalajara o anche di Tamaulipas.

Da donne ai vertici di organizzazioni criminali, oggi voglio parlarvi di queste donne coraggiose, segnate da un destino avverso e, purtroppo, irreversibile. Donne che hanno creato un collettivo proprio a Mazatlàn, fulcro dell’associazione criminale di El Chapo, che prende il nome di Tesoros Perdidos. Di “tesori perduti”, corpi senza vita, in quattro anni ne sono stati rinvenuti ben centoquaranta.

“Dicono che finché non c’è il corpo, non può esserci il processo. Ma è una bugia: anche quando noi lo troviamo, il corpo, il processo non c’è. Abbiamo cercato i nostri figli sottoterra, e abbiamo diritto alla verità”.

Queste sono le parole di Irma Arellanos Hernandez, quarantasette anni, fondatrice del collettivo Tesoros Perdidos.

Irma ha perso suo figlio nel 2017, Alain aveva solo ventisette anni ed era un medico forense. Scomparso nel nulla, dopo essere stato picchiato e derubato, fu ritrovato dalla madre, Irma, una ventina di giorni dopo in una fossa alla periferia della città.

Fu proprio presso la sala d’attesa del commissariato di polizia, dove Irma si recò per denunciare la scomparsa di Alain, che la donna vide donne, tante donne, che erano lì per la sua stessa ragione… ma che non avrebbero mai avuto giustizia. Questa è la storia di Tesoros Perdidos, del coraggio contagioso che ha dato vita ad almeno altri sessanta collettivi nello Stato.

Le Rastreadoras si muovono seguendo le segnalazioni di informatori o testimoni, oppure ricercando nelle fosse clandestine precedentemente scoperte. Quando la situazione viene considerata particolarmente pericolosa, le rastreadoras vengono accompagnate sul posto da militari armati. Nella maggior parte dei casi, i collettivi si muovono in solitaria, non ricevono sostegno economico né dal governo né dalle organizzazioni non governative. Di tasca propria riescono a noleggiare una scavatrice per la giornata, più spesso si recano sul posto con una bacchetta di ferro con la quale sondano il terreno e, seguendo l’odore, riescono a rinvenire i cadaveri in putrefazione.

I narcotrafficanti sono a conoscenza di questi collettivi? Certo che sì. Tanto da usare tecniche sempre più disparate, seppellendo i corpi a diversi metri di profondità o coprendo i punti esatti con carcasse di animali o calce.

Mentre una casalinga prende per la prima volta una vanga in mano per cercare tra la polvere il corpo di suo figlio, a pochi chilometri di distanza, gli hotel affacciati sul Golfo della California offrono agli ospiti un soggiorno in pieno relax e lusso.

La straziante realtà delle Rastreadoras continua ad essere un sottofondo, così come i rapimenti, le morti di uomini innocenti, le guerre tra i cartelli della droga.

Nient’altro che un triste sottofondo al frenetico turismo oltreoceano.

Catia Bufano

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Catia Bufano

Laureata in Lettere Moderne, studia attualmente Filologia Moderna presso l’università di Napoli Federico II. Redattrice per La Testata e capo della sezione Fotografia. Ama scrivere, compratrice compulsiva di scarpe, non vive senza caffè. Il suo spirito guida è Carrie Bradshaw, ma forse si era già capito.

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