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L’Ugly fashion è la rappresentazione di una società votata all’abbruttimento?

Dallo scoppio dell’epidemia Covid e con i vari lockdown ti sei reso conto di passare la tua vita in tuta e ciabatte?

Non preoccuparti, qualcuno potrebbe addirittura trovarti alla moda!

Pensa che, soltanto pochi mesi fa, il marchio Birkenstock, noto per le ciabatte dal dubbio gusto, è stato valutato attorno ai 4 miliardi di euro!

I vari cacciatori di trend prevedono che, proprio com’è accaduto negli anni Venti dopo l’influenza spagnola, una volta cessata l’emergenza dovuta alla pandemia ci sarà un’esplosione di creatività che contagerà l’intero mondo della moda, dando vita a capi e accessori sicuramente non scontati.

Il contagio di creatività sembrerebbe non cessare dal 2018, in realtà, con il cosiddetto Ugly fashion, ovvero la vittoria del brutto interessante sul bello banale.

Miuccia Prada, ideatrice dell’Ugly chic, spiega che uno dei compiti della moda è sicuramente quello di rappresentare la realtà: se la realtà è orrenda, anche la moda dev’esserlo.

L’Ugly fashion, chiariamo, non nasce come un invito a vestirsi male ma rappresenta, più che altro, una profonda consapevolezza dello stile che porta al disinteresse nei confronti del giudizio altrui e dell’essere “ben vestito” per la massa.

La Z generation rappresenta terreno fertile per le grandi industrie che stanno puntando sull’Ugly fashion, poiché parliamo di menti aperte alle novità e ai cambiamenti e che amano sperimentare.

Tuttavia lUgly fashion precedente al mese di febbraio 2020 si discosta dall’immagine di Ugly fashion oggi o, almeno, da come viene percepito dai più. Se il primo nasceva da uno studio attento della propria immagine, come tutte le mode, e perché no, unito anche ad un investimento economico, l’Ugly fashion di oggi nasce dalla cosiddetta vita non vissuta. Difatti, con l’arrivo della pandemia, gli e-store hanno conosciuto una forte impennata data dall’acquisto di homewear.

La rivista inglese Esquire ha coniato un termine per definire questa evoluzione dell’Ugly fashion, sadwear ovvero tutto ciò che indossiamo quando ci sentiamo tristi o depressi: tute, cardigan oversize, capi senza alcun desiderio stilistico.

Sembrerebbe proprio che l’Ugly fashion abbia cambiato i suoi connotati, ma è davvero così?

Sicuramente la pandemia e il tempo trascorso a casa non hanno giovato ad una cura dettagliata dello stile di ognuno, ma è ancora possibile notare accenni di trend così kitsch e curati nei minimi dettagli da farci stupire (e forse anche un po’ inorridire).

Pensiamo alla moda primavera/estate rieditata da Prada, che vede la promozione della stampa tappezzeria anni ’60 che già nel 1996 aveva scardinato lo status quo introducendo il concetto di “brutto elegante”.

Oppure, come non citare il famosissimo taglio di capelli anni ’80 corto sul davanti e lungo dietro, amato e portato alla ribalta da star quali Miley Cyrus, Rihanna e mostrato sul palco dell’Ariston da Francesca Mesiano dei Coma_Cose.

Che dire lettori, il mio è un grande sì all’Ugly fashion, perché kitsch è bello!

Catia Bufano

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Catia Bufano

Laureata in Lettere Moderne, studia attualmente Filologia Moderna presso l’università di Napoli Federico II. Redattrice per La Testata e capo della sezione Fotografia. Ama scrivere, compratrice compulsiva di scarpe, non vive senza caffè. Il suo spirito guida è Carrie Bradshaw, ma forse si era già capito.

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