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Al Divin Codino gli si vuole bene comunque. Anche quando sbaglia

E tranquillo, come intona Diodato: “Lo so potrà sembrarti un’esagerazione, ma pure quel rigore, a me ha insegnato un po’ la vita”.

Chi ha calcato i campi di calcio, anche quelli più sbrindellati e amatoriali di periferia, lo sa: i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli.

Il film su Roberto Baggio firmato da Letizia Lamartire, reso disponibile su Netflix e frutto della collaborazione tra il colosso dello streaming e Mediaset, ha il pregio di restituire un po’ della normalità del calcio, cercando di ricostruire parte della carriera calcistica di Baggio, focalizzando l’attenzione su alcuni momenti salienti e, allo stesso tempo, dando spazio alla sfera privata. Un progetto che funziona e appassiona. Forse un personaggio come Baggio meritava qualcosa di più di soli 90 minuti. Sarà un caso? Ad interpretare il fuoriclasse di Caldogno, c’è Andrea Arcangeli, 27 anni, visto di recente nella serie Romulus su Sky Atlantic. Certo, la responsabilità di “diventare” Baggio è tutt’altra pratica. La somiglianza c’era, Arcangeli poi ci ha messo una dedizione impressionante, una determinazione ferma ma gentile e un talento ineccepibile.

Siamo dentro il laboratorio dove il padre di Baggio lavora, un giovanissimo Roby è alla prese con i suoi primi tiri, quando diventare campione per lui era solo un sogno, si fa da solo la telecronaca e si prepara al tiro.

Molte sono le scene dedicate al rapporto con il padre, scomparso lo scorso anno e interpretato in maniera eccellente dal padovano Andrea Pennacchi. Colui che ha sempre cercato di trattare Roberto allo stesso modo degli altri sette fratelli, insegnandogli (a modo suo) che nella vita non bisogna mai sentirsi arrivati o aspettare che qualcuno ci dica “bravo” per continuare o per andare avanti. Bisogna fare sacrifici, essere mentalmente forti e credere in sé stessi. Tutto ruota intorno alla famigerata promessa che Roberto Baggio, a soli 3 anni, avrebbe fatto a suo padre dopo la sconfitta dell’Italia contro il Brasile nella Coppa del Mondo del 1970, vale a dire quella di vincere il mondiale proprio contro il Brasile. Ed è proprio sul rapporto con la famiglia che “Il Divin Codino” si sofferma, mettendo in risalto il rapporto con la moglie Andreina e i figli, la vicinanza della mamma e del manager (amico e mentore). La trama si concentra sul Mondiale americano e sul maledetto rigore sbagliato nella finale di Pasadena del 17 luglio 1994. Molto bello, in questo senso, il retroscena con un Arrigo Sacchi che, purtroppo, non viene ritratto nel modo giusto da Antonio Zavattieri. Finiti i mondiali del 1994, una spruzzata di Brescia con Martufello nei panni di Carletto Mazzone e poi, luci spente.

Forse, troppo condensa una carriera durata oltre vent’anni, che ci lascia la voglia di saperne di più su uno dei calciatori più leggendari e amati del nostro Paese, e che elimina completamente parti fondamentali della carriera di Baggio. Uno spettatore ventenne o un non appassionato di calcio avrà l’impressione di avere di fronte un uomo tormentato, uno che ha sbagliato un rigore decisivo in finale dei Mondiali. E non una leggenda. Ne esce fuori un quadro che da un lato fa emergere l’uomo Baggio, compreso di grandezze e limiti caratteriali che lo hanno fatto litigare praticamente con tutti quanti gli allenatori avuti, e dall’altro dei lati, fallisce miseramente nel mescolare l’uomo al calciatore e nel mostrare gli immensi lampi di una carriera leggendaria. Roberto Baggio è stato di più. Molto di più di questo.

Ad accompagnare il film verso la conclusione, la straordinaria colonna sonora creata da Diodato. Il cantautore pugliese in un post Instagram ha scritto: “Io ho sognato, sofferto, sperato, urlato di gioia con Roberto Baggio. Andavo a scuola calcio con le sue scarpe, le Diadora nere e gialle, con il suo autografo sopra. Un campione che incantava il mondo, che lo faceva innamorare ancor di più di uno sport bellissimo, che lo teneva con il fiato sospeso, che mostrava la sofferenza dell’uomo e la determinazione del campione dentro e fuori dal campo. Chi lo ha conosciuto in quegli anni lo ha amato, indipendentemente dal colore della maglia che indossava, indipendentemente dalla passione che aveva per il gioco del calcio. La sua è una bellissima storia di sport e di vita. Ci ho pensato a lungo, ho cercato a lungo le parole, nei miei ricordi, nelle sue e nelle mie emozioni e, alla fine, un giorno, è nata “L’uomo dietro il campione”.

Il Divin Codino è attualmente disponibile nel catalogo Netflix.

Francesca Scotto di Carlo

Vedi anche: Calcio: mas que un “sport”

Francesca Scotto di Carlo

Ventinove anni, napoletana. Di sé dice di essere un «cumulonembi», testarda, indistruttibile, assertiva. Scrittrice, umanista, attivista, è una di quelle persone con la voglia di cambiare il mondo, un passo alla volta.

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