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Sanremo 2021: Vincono i Måneskin! Sintesi breve di una lunga finale

Apre l’ultima serata della 71′ edizione del Festival di Sanremo la banda della Marina, con le note dell’inno patrio.


Archiviate le cose noiose, bandito ogni indugio la gara può cominciare. 

Il 71’ festival di Sanremo quest’anno vede la vittoria, francamente più che meritata dei Måneskin. Secondi Fedez e Francesca Michielin, terzo Ermal Meta.

Amadeus, che ormai può vantare una coerenza pluriennale, sfodera fiero la sua pioggia di strass su completi blu che senza sarebbero stati tranquillamente altrettanto eleganti.

Eppure Amadeus quest’anno fa da caposcuola, da pioniere di un genere, da autore di uno stile, quello dell'”uomo brillantinato“. Quello che ha caratterizzato questa edizione del festival, infatti, è la quantità industriale di pietre che ha impreziosito ogni reverse di ogni santa giacca da uomo: e in un attimo selvaggia ti assale la nostalgia dei punti interrogativi delle giacché di Amadeus ai tempi dei suoi quiz show.

Fiorello, nel più o meno riuscito tentativo di giustificare la sua presenza al Festival, ha, anche questa sera, cantato, intrattenuto, divertito, ballato, riso, deriso. Eppure Fiorello ha quella allegria spensierata, leggera, da villaggio turistico, che da sola potrebbe legittimare la sua presenza in questo e in qualunque altro festival: proprio per questo si sarebbe potuta sfrondare la sua partecipazione di tutte le più o meno felici gag di cui è stato protagonista.

Arrivati all’ultima serata del festival di Sanremo, devo fare un mea culpa, cospargermi il capo di cenere e chiedere umilmente perdono a Ibrahimovic. Ho osato pensare che la sua presenza fosse ingiusta, immotivata, inopportuna, questo prima di innamorarmi di lui e di capire quanto la sua presenza al festival fosse necessaria e opportuna e quanto fosse invece Amadeus incapace di fare da spalla a chicchessia.

Piccolo, troppo piccolo è stato l’intervento di Serena Rossi, ma non così piccolo da impedirci di credere che anche l’ultima delle donne di questa serata avrebbe potuto reggere con molta più leggerezza il peso di questo complicato festival. 

E, allora, anziché consegnare mazzi di fiori a chiunque pur di non incappare in inique discriminazioni di genere, un festival che vuole aderire ai tempi dovrebbe semplicemente dare più spazio alle donne che sanno fare questo mestiere e far fare a queste donne, magari, per più di 7 minuti, esattamente quello che sanno fare: condurre, cantare, sfilare, recitare, ballare, intrattenere.  

Ad un tratto, con una certa difficoltà una sempre visibilmente alterata Ornella Vanoni, in un raffinatissimo abito nero, ha sceso le scale dell’Ariston.

Dopo aver disseminato, con un paio di battute, il terrore di qualche gaffe irrecuperabile la Vanoni guadagna il microfono e zittisce tutti. Lei, come già la Bertè, incanta, stupisce, ci insegna anche con una certa spocchia che i miti non tramontano, mai.

Dopo 5 serate di festival è il caso di aprire una parentesi e affrontare il discorso ospiti fissi e non.

I quadri di Achille Lauro, le sue performance drammatiche, i suoi messaggi che una sapiente retorica rende ribelli, rivoluzionari e avanguardisti, risultano spesso semplicemente ovvi o addirittura banali. 

Gli ospiti musicali – come i vari Mahmood, Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Laura Pausini, le già citate Vanoni e Bertè, il “di nuovo giovane” Gigi D’Alessio, Enzo Avitabile etc. – e gli ospiti non musicali – come Giovanna Botteri, Alberto Tomba e Federica Pellegrini, Mihajlovic –  non sono altro che addobbi di quella eterogenea e barocca galleria che è Sanremo.

Accessori che dilatano a dismisura una serata che forse potrebbe essere più snella, più fruibile anche ad un pubblico di persone a cui sta semplicemente a cuore un’equilibrata alternanza sonno/veglia

Ma una cosa è necessario dire: io me li ricordo tutti quei festival in cui la Rai sborsava fiumi di lire/euro affinché il presentatore di turno potesse amabilmente chiacchierare 10 minuti con un super ospite internazionale, scambiare qualche sapida battuta e affrontare temi scottanti come l’ultimo film in promozione. 

Me li ricordo bene: ricordo il gelo in sala, la totale inutilità di quegli interventi e nulla al mondo, neanche le urla strazianti di Alessandra Amoroso o il botox di Ornella Vanoni, mi potrà far sentire la nostalgia di quel gelo. Nulla, figuriamoci le farfalle di Loredana Bertè!

Forse non sarete d’accordo, forse siete del mio stesso avviso, forse non vi interessa nemmeno il mio parere, ma qualche personale giudizio sulle canzoni di questo Sanremo ve lo voglio dare. 

Gradevolissimi Colapesce- Di Martino e Coma cose. 

Onestamente, e direi anche oggettivamente, improponibile il brano, così come il look, di Aiello. Molto apprezzati Lo stato sociale. Completamente fuori da ogni gara, da ogni confronto, da ogni paragone i Måneskin.

Completamente fuori Orietti Berti.

Max Gazzè, Renga e Annalisa copie conformi di se stessi.

In generale voci maschili deboli e precarie; voci femminili sempre corrette, potenti e salde difronte all’ansia. 

Il festival ogni anno porta con sè, come la coda di una cometa, un mare di polemiche, giudizi, perplessità e critiche, alcune fondate, molte francamente inutili.

Eppure il festival da 71 anni sopravvive senza neanche doversi più di tanto reinventare. Il festival sa resistere al tempo e addirittura al covid, come tutte le cose che il tempo e la bellezza consegnano alla dimensione della tradizione!

Valentina Siano

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Valentina Siano

Valentina Siano, classe ’88, professoressa per amore, filologa per caso. Amo la scrittura come si amano quelle cose che ti riescono al primo colpo, non sapresti dire bene come. Scrivo di cultura e spettacolo perché amo il cotone verde del mio divano e il velluto rosso dei sediolini dei teatri. Leggo classici, divoro serie, colleziono sottobicchieri. Sono solo all’inizio della mia scalata alla rubrica gossip di Vanity Fair.

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