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Insetti a tavola

L’UE dà il via libera alla commercializzazione ad uso alimentare degli insetti.

È chiaro che, giunta in Italia, questa notizia non ci ha cambiato la vita, non ci ha fatto fare i salti di gioia, non ha intaccato minimamente le nostre abitudini alimentari.

A volerla dire proprio tutta, la notizia che gli insetti potranno entrare nella nostra dieta quotidiana ha probabilmente tolto l’appetito a non pochi di noi.

Dopo l’ok dell’ESFA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), infatti, anche l’UE ha dato il suo placet alla commercializzazione del tenebrio molitor o tenebrione mugnaio, ovvero la tarma della farina. Le larve delle tarme della farina saranno presto in commercio in diversi formati: intere essiccate in busta, come un comune pacchetto di patatine, oppure sotto forma di farina ad alto contenuto proteico, ideale per la preparazione di prodotti da forno.

È una decisione che fa storcere il naso ai consumatori europei e che crea un po’ di fisiologico terrore negli italiani, popolo notoriamente integralista quando si parla di cibo.

Nonostante chi, come me, insegna nelle scuole sia abituato ad assistere a veri e propri abomini alimentari, l’idea che il mio aperitivo possa prevedere della larve di tarme o che quell’innocuo panino che mi preparo quando proprio non ho voglia di cucinare possa essere fatto, in buona parte, di insetti, mi lascia interdetta.

Interdetta. Non sconvolta, non terrorizzata, semplicemente interdetta. Lo shock difronte a culture alimentari diverse da quella italiana mi è passato anni fa, quando ho cominciato a parlare di cibo con persone che non fossero quei talebani che sappiamo essere noi italiani in cucina. 

Quando Salman, mi ha fatto notare che i gamberetti, visti da un persiano, non sono poi tanto diversi da un insetto. Da allora i gamberetti non mi sono sembrati più tanto invitanti.

Quando Mahzar, pakistano, mi ha fatto notare che per qualunque musulmano di qualunque latitudine, mangiare il maiale è un po’ come potrebbe essere per noi mangiare una cavalletta. Da allora il salame mi è sembrato meno imprescindibile.

La decisione di sdoganare gli insetti a tavola in realtà risponde ad una serie di esigenze collaterali di natura alimentare e ambientale. L’idea, infatti, rientra nel progetto ‘Farm to Fork’ che persegue l’obiettivo della sostenibilità ambientale dell’intero sistema alimentare entro il 2030.

Non è, infatti, una novità che la produzione alimentare è, ormai da anni, ben oltre i limiti della sostenibilità ambientale. Lo sperpero di risorse idriche per l’allevamento di bestiame, le colture intensive e il disboscamento sempre più selvaggio sono solo gli elementi macroscopici di un ingranaggio, quello della produzione agroalimentare, che sta via via avendo un impatto sempre più intollerabile sul nostro ecosistema.

Se poi si riflette sul fatto che, da quando i nostri stili di vita sono radicalmente cambiati rispetto a quelli del secolo scorso, la dieta mediterranea è stata soggetta a piccole ma necessarie modifiche, si comprende come gli insetti, un prodotto altamente proteico e povero di grassi, possono essere una proposta nutrizionalmente più che competitiva.

Una diversificazione nella nostra dieta è, dunque, quanto mai necessaria sia dal punto di vista delle necessità alimentari che di quelle ambientali. E l’Unione Europea sembra voler dare una risposta alle istanze del nuovo millennio, proponendo di inserire gli insetti nella nostra dieta.

Ora vi dirò la mia. Nonostante io sia così appassionata di cibo da poter mangiare praticamente qualunque cosa, purché sia cucinata e impiattata bene, e nonostante io abbia visto più volte dei non proprio igienici piccioni svolazzare attorno a quegli arachidi che divoro immancabilmente ad ogni aperitivo, onestamente sgranocchiare delle larve sorseggiando una coca zero non mi sembra una cosa fattibile in un futuro immediato.

Ma so con certezza quanto sia vero e adattabile alla ristorazione il detto occhio non vede, cuore non duole. Motivo per il quale, se un giorno il mio panino dovesse essere fatto di farina di insetti o la sfoglia della mia quiche dovesse contenere delle larve, la cosa potrebbe quasi sicuramente non causarmi problemi.

Valentina Siano

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Valentina Siano

Valentina Siano, classe ’88, professoressa per amore, filologa per caso. Amo la scrittura come si amano quelle cose che ti riescono al primo colpo, non sapresti dire bene come. Scrivo di cultura e spettacolo perché amo il cotone verde del mio divano e il velluto rosso dei sediolini dei teatri. Leggo classici, divoro serie, colleziono sottobicchieri. Sono solo all’inizio della mia scalata alla rubrica gossip di Vanity Fair.

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