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“Della stessa sostanza dei padri – Poesie al Maschile” istantanee per illuminarci

Della stessa sostanza dei padri – Poesie al Maschile è la nuova silloge poetica – edita da Le Mezzelane – di Davide Rocco Colacrai.

“È una ouverture, la vita, che non attende il sipario.”

La silloge di Davide Rocco Colacrai si apre con la poesia Ouverture in La maggiore per un corvo bianco.

L’Ouverture è una composizione musicale strumentale posta all’inizio di un’opera e si esegue a sipario chiuso. La vita è un’Overture, non può attendere l’apertura del sipario, si vive, nell’immediatezza, quando ancora nulla è deciso, senza compositori, senza attori, senza libretti.

In quest’opera è la vita stessa ad essere eterna,

in poesia.

Le Ouverture più famose – come quelle all’italiana di Franz Schubert – sono eseguite in Re maggiore; ma queste poesie sono dedicate ad outsider. Non a caso in russo, il corvo bianco è colui che va controcorrente, un ribelle. Infatti, i versi sono dedicati al ballerino russo Rudolf Nureyev che incantò il mondo con la sua maestria.

“Danzo perché è il mio credo,

il mio bisogno,

le parole non dette, la mia povertà, il mio pianto

danzo perché sento l’universo tra le mani e l’asse buono del mio nome

[nei fouettés en tournant al mondo.”

Chiude così la prima poesia – con versi presi e ispirati dalla “Lettera alla danza”, che il ballerino scrisse in punto di morte – Colacrai con parole eleganti dipinge una vita vissuta attraverso la danza e conclusa in grande stile, con il passo più spettacolare e virtuosistico: fouettés en tournant.

Questo è il nucleo, Della stessa sostanza dei padri – Poesie al Maschile è composta, infatti, da 27 poesie che mettono al centro l’uomo, le sue passioni, il suo dolore, la sua essenza.

Ventisette sono, dunque, i protagonisti di quest’opera: un uomo, un amico, un personaggio pubblico; questi uomini ispirano, con la propria vita e le proprie opere, versi che proiettano lo spettacolo – spesso atroce e drammatico – della vita.

Sono un Cristo che ha per croce un violino,

le sue corde il mio pane quotidiano,

la sua voce il mio perdono,

leggero come polline di conchiglia

mi lascio trascinare dove le stelle marine

sono fiori che cantano l’amore

e il mondo è uno schizzo che ha smesso di bruciare,

capovolto nella tela d’ombra che scintilla

e ovattato come il desiderio di una carezza

che desiderio resta.

Questa poesia, Cristo con violino, è dedicata a Baris Yazgi un ragazzo curdo che su imbarcò su un’imbarcazione di fortuna diretto in Belgio, per iscriversi a una scuola di musica. Il ragazzo fu ritrovato nel Mar Egeo abbracciato al suo violino.

Il poeta cristallizza questo sogno oltre il finito.

Nelle poesie del giovane scrittore vengono sublimati – con aggettivi ricercati e figure retoriche – la pazzia, i manicomi, la droga, il suicidio, l’omosessualità nei campi di concentramento e l’onta familiare di scoprire un parente gay, i migranti e alla loro terribile fine, le lotte politiche anti-dittatoriali.

Esperienze di vita reale che si imprimono sulla carta e si contaminano con la musica, la letteratura, il cinema.

Come nel Canto di un minatore per un cuore d’oro dedicata a Nic Sheff.

Cos’è questo vuoto

che, attraverso il mio caos che vibra,

mi lascia sprofondare lentamente, quasi impercettibilmente,

nella bocca dell’universo

al suo peso millimetrico e infinito?

Nic Sheff è il protagonista del libro, successivamente film, Beautiful Boy nel quale il padre racconta l’esperienza di un figlio eccellente che inizia ad avvicinarsi alla droga; cadendo in una discesa, fatta di metamfetamina ed eroina, che giunge agli inferi.

Si sente sordido l’aiuto di Nic e la precipitazione nella voragine, in questi versi.

Una poesia sociale quella di Davide Rocco Colacrai che scuote la nostra sensibilità per spingerci ad essere coscienti.

Una penna che scava in profondità e incastona dentro di te le parole, facendo emergere i sentimenti più remoti e immortalandoli nella nostra memoria.

Un viaggio in una camera scura

Per illuminarci

Istantanei.

Federica Auricchio

Vedi anche: Inestasi: per vestirsi d’arte

Federica Auricchio

Sono Federica Auricchio e mi definisco Napoletana dalla nascita, perché nel mio sangue ribollono la musica, la poesia, la bellezza, il comunismo e la felicità. Filologa da un paio di anni combatto le discriminazioni sociali con il sorriso e la penna, amo seminare in campi incolti perché è bello, poi, veder germogliare fiori rari.

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