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Chi ha stabilito i confini sessuali del make-up?

Il mondo del make-up per fortuna sta diventando molto più inclusivo e non è difficile oggi – che stiamo cercando di evolverci nel rispetto di una comunità che tende a sentirsi sempre più queer – imbattersi in linee di skin care per uomo.

Chi l’ha detto che truccarsi è soltanto una questione per le donne?

Al giorno d’oggi sono sempre di più gli uomini che ricorrono al trucco e il mondo dello spettacolo ne è la dimostrazione, una tendenza che già in passato si era fatta strada tra star come David Bowie, Keith Richards, Ozzy Osburne e Mick Jagger (solo per citarne alcuni, perché la lista non ha proprio voglia di finire qui) e che ancora oggi viene sfoggiata dagli ultimi arrivati come Damiano dei Maneskin, Achille Lauro e Dario Mangiaracina de La Rappresentante di Lista.

Oggi, precisamente nell’annata 2021, non è poi così raro imbattersi in qualche conoscente un po’ megafusto un po’ viril macho che gonfiando il petto ti dice “una volta i maschi mica si truccavano!”.

In realtà “una volta” i maschi si truccavano eccome, e “una volta” perdura da qualche migliaio di anni.

Nell’antico Egitto, per esempio, gli uomini era soliti truccarsi di nero gli occhi per sottolineare la loro forza, ma anche ricchezza e status sociale. Pochi millenni dopo anche l’ombretto verde in malachite divenne consuetudine dei Faraoni, unico modo per invocare gli dèi Horus e Ra e così proteggersi dalle malattie dannose.

Durante il regno della Regina Elisabetta il make-up era molto popolare tra gli uomini e la pelle incipriata di “bianco fantasma” era considerata segno di aristocrazia. Per non parlare del re Luigi XVI di Francia…

Gli uomini della corte reale si dipingevano i nei che accoppiavano con tacchi alti e maniche di pelliccia.

Il trucco si è evoluto nel corso degli anni e man mano che le regole sull’estetica di genere diventano sempre più flessibili, il make-up prova, seppur con qualche difficoltà, a insinuarsi lentamente nella routine quotidiana di alcuni uomini, non sempre necessariamente star o guru della skin care, ma in modi più sottili e in mondi più semplici.

Non c’è meraviglia se al trucco ricorrono anche i comuni mortali della generazione Z, liberi dalle etichette e dalle restrizioni, liberi di dare sfogo alla creatività sperimentando identità e look che rompono gli schemi; complici anche i media che stanno dando al tema la giusta importanza gender free che si merita e fortunatamente l’industria della bellezza è in continua crescita: c’è una maggiore accessibilità, una maggiore comunicazione e libertà (quasi totale).

Trucco non significa sempre femminilità, non oggi. Si vedono anche ragazzi con la barba e il viso completamente truccato ed è accettabile.

Marchi come Milk Makeup aiutano la denaturalizzazione del trucco come prerogativa puramente femminile. Chanel, nel 2019, ha lanciato Boy de Chanel, una collezione essenziale: una matita per le sopracciglia, un balsamo labbra, un fondotinta, due smalti opachi e un set detergente. Wycon invece è attualmente presente in commercio con la nuova collezione Genderless per lui e per lei, si tratta di nuance calde e texture adatte ad ogni tipo di pelle, i prodotti non sono solo basic ma spaziano dal fondotinta all’eye-liner e al rossetto.

Nonostante la tendenza predominate sia ancora quella di restare sobri, molti ragazzi cercano trucchi eccentrici, visibili e anche rock che riportano un po’ agli anni Settanta e agli eccessi degli Ottanta-Novanta.

Ma ogni giorno, ancora, in Italia – e in qualsiasi paese a caso nel mondo – il trucco maschile non è ammesso perché “è una cosa da femmine”.

Cosa accade quando il trucco viene concepito come forma d’arte e espressione di sé? A quel punto troveremo ancora differenze di genere o continueremo sempre, al posto di altri, a definire i confini sessuali del make-up?

Non dovremmo sottostare ad alcuno stigma, rinchiuderci in nessuna scatola.

Potremmo sdoganare certi stereotipi pericolosi, rompere le sbarre di un pregiudizio fin troppo radicato.

Fare come Fedez che attraverso il suo profilo instagram di circa 12 milioni di follower, sfoggia il nuovo smalto, si tinge i capelli di viola poi di azzurro poi di giallo e urla (seppur mai urlando davvero, è un tipo pacato il Ferragnez) di essere, e soprattutto voler essere, un padre comprensivo e aperto a qualsiasi tipo di identità i figli si sentano di appartenere in futuro e fare bella storia comunque.

Ma le guerre non si combattono mai in uno.

E a volte non si vincono neppure.

Serena Palmese

Vedi anche: Bellezza inclusiva: dal Medicamina di Ovidio alla rivoluzione di Jean Paul Gautier

Serena Palmese

Mi piacciono le persone, ma proprio tutte. Anche quelle cattive, anche quelle che non condividono le patatine. Cammino, cammino tanto, e osservo, osservo molto di più. Il mio nome è Serena, ho 24 anni e ho studiato all’Accademia di belle Arti di Napoli. Beati voi che sapete sempre chi siete. Beati voi che sapete sempre chi siete.

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