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SVM, Napule è femmena e core nero. L’intervista al nuovo astro dell’urban music

Lei è SVM, forte già dell’affermazione “essere” dalla matrice latina del suo nome d’arte. Il suo essere.

Lorenza Anceschi è musa, è la sirena partenopea, è ipnotismo e talento, femmina fiera e radici di Napoli, è arte contemporanea e opera visuale.

Sicuramente uno dei migliori prospetti emergenti della musica urban italiana.

Lorenza, classe 1995, originaria di quel lembo di terra e di storia vesuviana che è il miglio d’oro (tra Portici ed Ercolano nello specifico), ricca di un barocco regale e di quell’abbondanza naturalistica di agrumeti e paesaggi. Terra fertile in cui penetrano le stesse solide radici che configurano sfumature di un tanto interessante progetto. Un progetto che profuma di mare, di misticismo onirico, di nuovi suoni, di immaginario pagano e di dialetto, lingua vera che diventa codice fonico essenziale nel groove di certe produzioni. Un codice dal fascino sconfinato che ormai è sdoganato nel linguaggio della nuova scena alternative pop (Liberato, La Nina, Geolier, Rocco Hunt , etc sarebbero solo qualcuno degli esempi).

SVM, con un passato da giornalista e una riconcorsa al suo futuro che l’ha portata a soli 18 anni a Milano, è, nella sua nuova pelle artistica, da poco uscita con il suo ultimo singolo “‘A Cap e ‘o Core” in duo con la rapper LaHasna, e nel frattempo l’abbiamo intercettata mentre era a Londra per la pianificazione di alcuni progetti futuri e abbiamo chiacchierato con lei.  

SVM, ti abbiamo intercettato sino a Londra, come mai nella capitale inglese? A lavoro per il nuovo disco?

«In realtà sono qui per alcuni lavori personali legati ovviamente sempre alla musica, collaboro con dei produttori e ghostwriter per alcuni artisti inglesi tra sale di registrazioni e home studio. Ma non ti nascondo che mi piacerebbe lavorare alla rifinitura del mio disco qui, creare una rete con i giusti produttori in una dimensione comunque diversa, musicalmente, rispetto all’Italia. Qui c’è davvero una bella vibe».

Nasci con la propensione per la scrittura, giornalista fino a qualche anno fa e poi arriva la musica. Raccontaci.

«Esatto, posso definirmi come una collega. La musica arriva in maniera consapevole da pochissimo, posso dire di aver iniziato un paio d’anni fa e quasi per caso. Mi trasferii a Milano per cominciare il mio percorso universitario, in comunicazione e poi marketing. Poi tutto è nato per caso, in una stanzetta mentre un mio amico accordava la chitarra con accordi soul e così, in maniera quasi involontaria è nata “Nun me ‘mporta” e questa persona ha creduto in me dopo avermi sentito cantare al karaoke.

Dopo aver partorito quel primo singolo ho poi deciso di iniziare a scrivere, scoprendo un talento di cui non ero consapevole. Avevo sempre ascoltato tanta musica senza però conoscere un vero ciclo produttivo e da lì mi sono innamorata, perché fare musica ti cambia la vita. Avere una percezione del tutto diversa anche da quello che ti accade intorno, in strada tutti i giorni.

Credo, per quel che riguarda il mio percorso, che sia importante anche la direzione che ha preso la musica italiana nell’ultimo periodo. Cambia l’attenzione nei confronti di un genere che, probabilmente, in passato era messo in secondo piano come la black music, l’R&B o il soul.  Penso addirittura che la musica napoletana possa essere la corretta trasposizione della musica R&B americana anni ’90. Anche la stessa musica neomelodica che spesso viene guardata con disprezzo per me è iconica e può addirittura legarsi ad un certo filone soul, sia per quello che riguarda le tematiche sia per quello che riguarda certe sonorità, il nostro tipico vibrato può proprio derivare da quegli ambienti r&b».

Riprendendo proprio questo discorso arriverei al singolo “Veleno”, svesto per un momento i panni del giornalista per dirti che per me è un pezzo incredibile. Uno delle migliori canzoni ascoltate quest’anno. Sono dell’idea che il vero talento sia stato miscelare sapientemente una matrice tradizionale allo sperimentalismo. In questo caso sento tutta la poetica della storia melodica napoletana, una preghiera romantica incisa in 33 giri contaminata da una produzione super contemporanea (immenso Big Fish).

Da lì parte poi anche il concetto di evocazione visiva del tuo progetto, lo strettissimo legame con il simbolismo culturale che ti lega alla terra d’origine. Simbolismo che verte sul gioco millenario tra sacro e profano (Dint’ o’ for’), ma anche guardando il video di “Nu sgarr” potremmo immaginare le anime pezzentelle o il nostrano corallo.

Oltre all’espressione linguistica dialettale nella tua musica quanto influisce il legame con certi elementi di napoletanità?

«Uno dei miei principali intenti è proprio quello di evocare questo legame con la mia città. Napoli è stata un po’ depenalizzata negli anni per l’immagine che lasciavano trasparire, oggi viene vista in maniera diversa approcciando anche diversamente a quella che è la nostra cultura o magari alla stessa cultura neomelodica di cui parlavamo prima. La scena locale non veniva apprezzata a livello nazionale in precedenza, oggi tanti artisti riescono a competere in un genere senza timori di pregiudizio.

Cerco, con quello che faccio, di provare ad elevare la mia terra, nonostante abbia vissuto per tanto tempo fuori ho un legame quasi morboso con la mia città, la mia famiglia, il mio mare. Un vero legame di appartenenza. Vorrei proprio portare alla luce un nuovo aspetto di Napoli, quella misteriosa o velata alla Ozpetek, quella colma di misticismo. Anche nelle tematiche dei testi, parlo d’amore perché magari lo richiede il genere, ma sono amori tormentati come le anime del purgatorio (evocazione visiva che sarà protagonista come concept anche nel disco che sto preparando) – le anime tormentate delle mie canzoni!».

Proseguendo il discorso rispetto a quello che è il progetto SVM, che a mio personale parare corre meravigliosamente sul binario di un concetto che è strumentale e sonoro quanto per l’appunto visivo, credo sia enorme anche la comunicazione che riesci a fare con il tuo viso e il tuo corpo.  Si denota, anche dai tuoi canali sociali, che non vuoi inibirti dietro giudizi superficiali e sessisti ma sai giocare con te stessa, mostrarti, sentirti libera di evocare sensualità ed erotismo senza stereotipi o pregiudizi. Insomma, anche un messaggio di body positive, giusto?

«Sì, da piccola ero molto combattuta per questa cosa. Sono sempre stata un po’ pienotta, un po’ fuori da consueti canoni anche se allo stesso tempo sempre fiera di mi stessa. Il mio è stato un percorso di crescita e di autostima molto veloce, ho iniziato ad apprezzarmi molto presto. Capivo che i miei canoni non rispecchiavano la società in quegli anni ma senza mai lasciarmi abbattere dai pregiudizi. Ma la percezione è cambiata molto quando ho iniziato a lavorare in un centro d’accoglienza come volontaria, stando a contatto con persone di diversa etnia e riscoprendomi nei canoni di paesi diversi.

Quindi lo standard è qualcosa che ci creiamo noi mentalmente.

Mi sento di rappresentare anche le persone che hanno avuto i miei stessi problemi e mi sento anche rappresentante di una certa cultura legata alla napoletanità e all’abbondanza. Oggi mi sento bene con il mio corpo e con me stessa. Mi sento privilegiata dal fatto di essere abbastanza seguita quindi abbiamo anche il dovere di lanciare un certo tipo di comunicazione nel rispetto delle libertà e dell’arte, bisogna capire che esistono minoranze e tematiche sociali dove è giusto sensibilizzare chi ci segue anche da portavoce per chi non ha possibilità».

Invece, come avviene il tuo personale processo creativo per un’artista come te che comunque si muove su più dimensioni musicali? Lavori con importanti producer, come nasce una canzone?

«Spesso nasce in maniera del tutto spontanea, magari sono in tram e mi sento di dover buttare giù qualche riga dando nascita ad un pezzo o mi rifaccio alle basi di produttori straordinari come Big Fish o Ciro Mont su cui lavorare. Spesso invece mi rifaccio alla rete, sono iscritta a canali, ascolto tanti beat e mi lascio trasportare dalla musica provando spesso a scriverci sopra, adattando poi alle mie caratteristiche. Non ho uno schema produttivo ben preciso. Giocando spesso in dialetto o in inglese».

“‘A cap e o’ core” tuo ultimo brano in feat LaHasna è da poco uscito sulle piattaforme ma abbiamo letto anche del duetto con Aiello nel suo disco in uscita. 

Passando all’oggi cosa aspettarci? (immaginando ovviamente che tutto sia stato rallentato dalle condizioni di oggi in merito alla pandemia e alle conseguenze su tutto il settore artistico).

«Non ho ancora fatto piani ben precisi rispetto all’immediato futuro, anche perché tutto è inevitabilmente rallentato dalla situazione Covid, sarei in realtà già dovuta uscire con il mio primo EP. Abbiamo però deciso di posticipare l’uscita, sarebbe stato un peccato non fare la giusta promozione a questo primo lavoro, quindi mi sto principalmente dedicando all’uscita di un singolo per volta anche grazie all’ausilio dei canali social, magari in futuro farò una raccolta dei brani. Sono però felicissima dell’uscita del brano, il prossimo 12 di Marzo, in duo con Aiello nel suo disco. Lui ha creduto tanto in me, mi ha scritto e mi ha voluto nel suo album. Sono davvero tanto orgogliosa di questa cosa, lui calabrese, io napoletana e si evince tanto amore per la nostra terra, per il “nostro” sud.  In questo periodo la cosa peggiore resta non poter fare live e perdere almeno momentaneamente quel contatto con il pubblico».

Claudio Palumbo

Vedi anche: Itinerario di un sogno lucido, viaggio urban attraverso “Caduta”, il primo EP degli HANDS

Claudio Palumbo

Mi chiamo Claudio, classe “non” di ferro 1989. Se dovessi descrivere il grosso contenitore attitudinale della mia vita sarebbe quello con il post it “feticista della cultura pop e contemporanea”. A cucire con filo i tanti tessuti di uno stesso vestito è la scrittura, redazionista per diversi web magazine, ufficio stampa e versi folli e sciolti.

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