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StereOID, storia di una factory musicale libera ai pedi del Vesuvio

Loro sono StereOID e non possiamo definirli solo una band, sono un collettivo artistico, sono due ragazzi della vicina Pomigliano D’Arco che hanno trasformato la loro passione, la musica condita di venature digitali – e una casa – in una vera e propria “Factory” aperta, citando Andy Warhol.

Si tratta di un progetto che ha visto la genesi di realizzazione di due giovani, Luca Norma e Domenico Rea, percussionista e chitarrista in primis, ma anche pieni rappresentanti di quella generazione Y che si rifà su elementi caratteristici come la creatività e l’homemade. Sono anche informatici e hanno deciso di mettere a disposizione l’interno di un appartamento, uno spazio che va oltre i confini di semplice studio di registrazione.

Uno spazio indipendente che guarda verso il Vesuvio, colosso ispiratore, e aperto alla collettività, che ha come solo credo quello dell’improvvisazione. Una sorta di perpetua jam session che apre liberamente, però, a tutte le forme espressive artistiche (ad esempio legate ad artisti visivi, grafici, poeti).

Dall’esperienza musicale di StereOID ne nasce anche A Listen to Everything pt.1, pt.2 e pt.3: 90 minuti di musica in 3 EP nata dalle ore di improvvisazione del duo.  Ma il noisey introspettivo ed elettronico si sposta anche sulla realizzazione di videoclip e sugli elementi di realizzazione grafica, ad esempio di loghi, che si vestono della contaminazione di elementi naturali come rocce, acqua, deserti ma anche digitali e robotici.

Li abbiamo incontrati per una chiacchierata che approfondisse il progetto.

La musica negli anni ha modificato la sua dimensione espressiva e performativa, dalle strade e le sale di registrazione, si passa con le nuovissime generazioni sempre più verso una dimensione di home studio. Quanto questo “movimento generazionale” ha influito sulla nascita del progetto SterOID? Era per dare una caratterizzazione sonora del tutto personale al progetto o principalmente per offrire opportunità alla comunità artista anche dal punto di vista di possibilità economica?

«Quando passi buona parte del tuo tempo a osservare gli artisti che segui per cercare di capire dove ci stiamo dirigendo realizzi che in realtà questa nuova forma di espressione è auto esplicativa. Siamo giovani, ma abbiamo avuto modo di “percepire” il cambiamento anche attraverso diverse sperimentazioni personali, con altri progetti. Bisogna accogliere e pesare in modo opportuno tutto quello che l’evoluzione offre, in qualsiasi ambito».

Il progetto oltre che alla sfera sonora comprende anche una costruzione a 360 gradi fatta di visual video e lavoro grafico, ce ne parlate?  Quanto ha influito sull’aspetto visivo del progetto anche la terra vesuviana di origine di tutto?

«Se hai modo di esprimerti anche dal punto di vista visivo fallo. Torniamo alla domanda di prima: è un modo in più per farsi riconoscere. Prendo ad esempio le performance di Achille Lauro all’ultimo Sanremo. Immagina se avesse semplicemente cantato indossando una t-shirt e un paio di jeans.

Sull’ influenza del vesuvio sul progetto ti rispondo: Simm e’ Napule».

Vorremo sapere qualcosa in più sugli importanti frutti venuti fuori da questo progetto collettivo, l’ep “I Listen to Everything”, Enjoy Life o comunque l’esperienza di jam session con tanti giovani musicisti. Come poi avete deciso di approcciarvi anche ad una esperienza artistica a tutto tondo? Quindi non soltanto legato al mondo musicale, per intenderci.

«Quel materiale fa parte della “seconda fase” del progetto. Che è stata comunque una fase embrionale. Le collaborazioni ci hanno aiutato a definire meglio il sound, a crescere. Da lì infatti abbiamo iniziato a mettere mano a composizioni più ragionate. Diciamo che, dal momento che non sai bene cosa suonare, faresti bene a confrontarti con quanti più musicisti possibile, in modo da avere feedback anzitutto da chi la musica la fa».

Come è mutato il progetto nel corso dell’ultimo difficilissimo anno e quali sono le idee e le prospettive per il proseguo?

«Abbiamo prodotto 3 brani in smart working. Visto che vediamo il progetto come un’impresa, è giusto abbracciare metodologie che usano per lo più le aziende. Marzo 2020 è stato comunque un mese molto difficile, non eravamo pronti e abbiamo vissuto per lo più passivamente il lockdown. Poi ci siamo organizzati per lavorare a distanza e organizzare prove settimanali nel periodo in cui potevamo farlo.

Nel proseguo suoneremo dal vivo, porteremo il palco dalle persone visto che le persone non possono avvicinarsi a un palco. Ma su questo ti invito a seguire i prossimi sviluppi direttamente dalla nostra pagina».

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Claudio Palumbo

Vedi anche: SVM, Napule è femmena e core nero. L’intervista al nuovo astro dell’urban music

Claudio Palumbo

Mi chiamo Claudio, classe “non” di ferro 1989. Se dovessi descrivere il grosso contenitore attitudinale della mia vita sarebbe quello con il post it “feticista della cultura pop e contemporanea”. A cucire con filo i tanti tessuti di uno stesso vestito è la scrittura, redazionista per diversi web magazine, ufficio stampa e versi folli e sciolti.

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