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Si sciolgono i Daft Punk: l’epilogo della notte in cui ballammo fino all’alba

Un videoclip che diventa virale, un capolavoro di onirismo lirico e cinematografico tra campi lunghi e primi piani, tra lande deserte che evocano quasi la composizione di un duello finale da western.

Il video in questione è quello di Epilogue, milioni di visualizzazioni per i 7 minuti e 57 secondi che preannunciano la fine di un’era, quella dei ventotto anni di storia del più iconico duo della musica elettronica, i Daft Punk. 

Quanto simbolismo iconico si nasconde dietro lo storytelling musicale dei due deejay Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter nascosti dietro quel fantasma glam di un casco?

Quanta rivoluzione si può apportare ad un genere che da sempre, nei decenni, ha spaccato il pubblico tra integralisti della struttura metrica della pop music e quelli delle sonorità strumentali dell’elettronica?

Quanto, con loro, abbiamo compreso, forse alla genesi di una storia iniziata proprio con un titolo rarissimo che è anche una premessa “New wave”, che una nuova scena dance poteva scalzare le grandi rockstar nel riempire le platee dei più grandi festival del mondo? 

La storia spesso viene innescata da obiettori, dalla saccente bramosia degli esperti di settori, degli etichettatori per vezzo, di quelli che sono dall’altro lato a chiuderti le famose porte sbattute in faccia. Nel caso in questione potrebbero essere quelli della rivista musicale britannica, Melody Maker, che definiscono un gruppo, i Darlin’, con queste parole: “”a daft punky trash”. Una stroncatura che tanto mai era distante dalla lungimiranza di una realtà che darà avvio ai più importanti capitali della musica contemporanea francese e mondiale. Se da una parte c’erano Homem-Christo e Bangalter, che partirono da tali epiteti per cominciare a giocare con synth e drum machine e fare la storia, prese la sua strada come terzo membro di quella band anche un certo Laurent Brancowitz che fondò poi i Phoenix, uno dei migliori gruppi alternative rock della nostra epoca. 

Quattro album che da quell’esordio del 1997 con Homework arriva fino al 2013, con Random Access Memories. Accessi casuali alla memoria che, come ci suggerisce il titolo del disco, rispecchia pienamente l’opera dei Daft Punk che partono da un crossover di techno, electro, acid house, pop e fanno della forza anche la complessa costruzione visiva oltre che ritmica.  Un hype fortissimo che diventa arma da presa efficacissima su un pubblico che non ha più derivazioni musicali di provenienza.

La loro musica negli anni diventa puro sperimentalismo unito al citazionismo più rappresentativo. Il romanticismo e il kitsch della dancehall anni ’70 e ’80 (attestato poi anche dalle collaborazioni con Nile Rodgers e Giorgio Moroder, tra gli altri), la ballabilità del funky, l’inno di generazioni cresciuti a Radio Deejay e musicassette, di visual fatto di glitter, di richiami a certi B-Movies iconici e all’ipnotismo cadenzato della generazione anni ’90.

I Daft Punk hanno saputo dimostrare capacità uniche oltre che nella costruzione di una certa, fortissima, autoreferenzialità visiva anche nel progetto dell’immagine da mostrare nella sua polivalenza più varia. Alcuni video dei loro brani sono stati diretti da registi del calibro Spike Jonze e Michel Gondry o l’esperimento dell’album Discovery diventato colonna sonora del film d’animazione Interstella 5555, realizzato da Leiji Matsumoto il grande autore di Capitan Harlock. Poi la produzione del film Daft Punk’s Electroma, presentato al Festival di Cannes del 2006, la storia di due robot che tentano di diventare esseri umani. 

Dozzine di premi, Grammy, tour nei più grandi festival del mondo ma soprattutto una riconoscibilità tale che li ha resi famosi in ogni angolo del globo. In fondo saremmo ancora tutti pronti a ballare con One More Time, Get Lucky, Around The World, Da Funk seguendo il consiglio di Lose Yourself To Dance fino a questa notte.

Una notte nostalgica di fine estate in cui i corpi si sono sfiorati ballando fino all’alba, quando il sole sorge, il nuovo giorno incombe e il deejay stacca la musica dalla sua consolle.

I Daft Punk si sono sciolti. 

Claudio Palumbo 

Disegno di Simone Passaro

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Claudio Palumbo

Mi chiamo Claudio, classe “non” di ferro 1989. Se dovessi descrivere il grosso contenitore attitudinale della mia vita sarebbe quello con il post it “feticista della cultura pop e contemporanea”. A cucire con filo i tanti tessuti di uno stesso vestito è la scrittura, redazionista per diversi web magazine, ufficio stampa e versi folli e sciolti.

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