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Night Stalker: caccia a un serial killer. Una docu-serie per fegati di titanio

Night Stalker: caccia a un serial killer è una docu-serie fresca di debutto su Netlflix, un prodotto perfettamente americano di cui il pubblico va già ghiotto.

Come ogni giallo, o caccia all’uomo, irretisce già dalla premessa.

Ma bisogna stare attenti al brivido che si desidera.

Perché se è il brivido, il thrill, o il mistero quello che si cerca, bisogna essere pronti ad affrontarne le conseguenze. La mini serie di Tiller Russell, infatti, in quattro episodi riesce a spaventare anche chi si è fatto la cosiddetta “pelle di ciuccio” praticando dello sfrenato binge-watching di film horror. Riuscendo, è importante sottolinearlo, a dormire come un bambino per tutta la notte.

La realtà, come intuiamo ma forse non capiamo pienamente, sa essere ben più terribile di qualsiasi fantasia sfrenata. L’horror della vita reale, il mostro del quotidiano, il “vicino che salutava sempre” è pericoloso e non va via se accendi la luce. Soprattutto, non conosce esorcismi per essere sconfitto, o incantesimi, e non gli basta trovare una risoluzione per “passare all’aldilà” come invece ci insegnano i film. I cattivi veri, gli assassini, gli stupratori, hanno motivazioni a noi incomprensibili, risposte alle quali non sappiamo dare una dimensione o uno spazio. I serial killer sfuggono alla nostra comprensione, ed è il motivo del loro fascino tanto quanto della nostra inquietudine nei loro confronti.

Tiller Russell, evidentemente consapevole di questo doppio valore, della dicotomia pericolo/attrazione, sceglie di prendere in studio uno dei serial killer più efferati della storia. Un uomo, se così possiamo definirlo, che non conosce etichetta o definizione. Un giovane che sfugge alla comprensione di psicologi, medici, dottori, esperti forensi.

Analizzeremo, assieme a Tiller, quattro episodi agghiaccianti che lentamente dipanano il caso Night Stalker, come fu chiamato dalla stampa degli anni ’80.

Los Angeles e San Francisco, all’epoca gettate completamente nel panico dai brutali attacchi di questo stupratore, rapitore e assassino, emergono nella loro poliedricità. Città cromate di sogni e luci, ma anche di buio pesto ed ambizioni infrante, criminalità e dolore. Ed è proprio dal buio pesto che esce il mostro di questa storia: Richard Ramirez, venticinquenne nativo di El Paso, Texas. Ultimo di cinque figli, visse un’infanzia cruda e crudele quanto sarebbe diventato lui da adulto, vittima di un padre severo, violento e rabbioso. Testimone di un omicidio avvenuto nelle mura domestiche, fu svezzato alle ingiustizie della vita in un’età delicata, di passaggio. “Are serial killers born or made?”, chiede l’assassino ad uno dei poliziotti, durante la prima intervista dopo l’incarcerazione.

Gli assassini nascono tali o diventano tali? Una domanda che perseguita lo spettatore durante tutto il corso della vicenda. Una vicenda macabra, alla quale non si vuole credere ma dalla quale non ci si riesce a staccare. Il male puro aleggia sugli schermi del mondo, cellulari, computer, tablet e colpisce in punti dell’animo che non si sapeva di avere. Attacchi notturni, rapimenti di bambini, uccisioni senza distinzioni di genere o età, sembrano provenire da una parte del mondo dove non esiste l’essere umano. Perché tutto si può dire di Ramirez tranne che sembri umano, la sua figura forse inquietate più delle sue azioni.

Il forte e insondabile mistero dietro un male assoluto, democratico, spoglia l’audience delle sue sicurezze, chiedendole di credere all’esistenza dell’uomo nero. Nessuna storia di finzione può avere quegli occhi neri e vuoti, quella voce cattiva e fredda come una notte d’inverno senza luna. Ed è così che impariamo un lato dell’uomo contro il quale non possiamo niente, ignaro dell’amore e della compassione. Vediamo, nella sua verità, l’arbitrarietà dell’esistenza. La narrazione è salda, la regia agile e altamente performante. Noi spettatori, annichiliti, ci prepariamo ad una settimana di veglia, di domande, di porte chiuse a chiave a doppia mandata e finestre barricate. Ciononostante, una visione a questa mini serie di true crime può essere educativa, la ricerca di risposte ancora lontane sulla natura della mente umana, una riflessione importante sulla strada – lunghissima – che la psicologia forense ha ancora davanti.

Basta guardarlo di giorno e mai, mai, mai da soli. No, veramente ragazzi, non da soli.

Vi prego.

Buona visione!

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Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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