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Sanpa: l’educazione è crudeltà?

Chi è Vincenzo Muccioli, fondatore di San Patrignano: un santone, uno stregone, un salvatore, un benefattore, un ciarlatano? 

Buono e giusto come Cristo e come lui incompreso e condannato?

Oppure no? 

Siamo negli anni di piombo: anni difficili di rivolte, manifestazioni studentesche, omicidi e stragi, anni in cui piovono in Italia fiumi di eroina. Sul finire degli anni ‘70 i grandi ideali tramontano lasciando un enorme vuoto esistenziale: quel vuoto di cui si nutre l’eroina. La collettività, le masse che lottavano pretendendo un mondo migliore si sfaldano: resta la solitudine. 

È l’immobilismo sociale, la solitudine, la mancanza di prospettive, ma anche più semplicemente il caso, un’indole fragile, un amore infelice che lancia un uomo nella presa mortale dell’eroina. L’eroina, allora, annulla ogni legame, ogni vincolo con la realtà, con gli affetti, con le persone, trasformando ogni individuo in una monade, un’unità indifferente a qualunque cosa. 

Strappare una persona alla droga è un processo complesso, che non passa solo dalla disintossicazione, dalla rieducazione del corpo, ma piuttosto attraverso la rieducazione dellindividuo alla vita. Uscire dalla droga significa costruire un mondo alternativo alla drogama altrettanto soddisfacente per il tossicodipendente. 

Vincenzo Muccioli nel 1978, quando fonda la piccola comunità di recupero per tossicodipendenti di San Patrignano, all’interno di un’azienda agricola non lontano da Rimini, offre proprio questo: la ricostruzione di un mondo, la ricostruzione dell’individuo, di nuovi legami, di un’esistenza nuova

Lo fa con metodi discutibili e ampiamente discussi. Erbeamorepratiche esoteriche, i metodi correttivi che Muccioli stesso definisce quelli di un buon padre di famiglia. Muccioli non è un terapeuta, non ha alcuna formazione per definirsi tale né tantomeno ha l’ambizione di esserlo: Muccioli è un padre, un leader carismatico, una figura affettiva di riferimento.  

Eppure, a distanza di pochi anni e non pochi successi dalla nascita della comunità, si scopre che il metodo San Patrignano oltre alle erbe e alle iniezioni d’amore prevede anche la segregazione, il sequestro, le catene, il freddo, le botte. Metodi che rapidamente da occasionali diventano sistematici. Metodi che violano la legge e che costano a Muccioli un processo, il processo delle catene del 1983 e una condanna. Metodi che mortificano l’individuo e lo equiparano ad un animale. 

Per fare del bene puoi usare qualunque metodo? Non c’è limite? 

Eppure chi, come le famiglie dei tossicodipendenti, ha visto con i propri occhi cosa diventa un uomo sotto effetto di eroina sa che poco distingue quest’ultimo da una larva. E sono proprio loro, i familiari e i tossicodipendenti stessi, a difendere Muccioli da ogni accusa, a difendere lui, l’istituzione che ha creato, i suoi metodi più o meno ortodossi

Passano gli anni e la piccola comunità di recupero nata attorno al carisma di un uomo diventa una realtà eterogenea che conta diverse migliaia di ospiti: tossicodipendenti, sieropositivi, malati di aids. Una comunità in crescita esponenziale la cui gestione diventa sempre più complessa e quindi sempre più oppressiva, con modalità violente, repressive, quasi fasciste

È il 1993Roberto Maranzano, ospite di San Patrignano viene ritrovato morto per sevizie a Terzigno (NA). A distanza di pochi anni, il caso che era stato archiviato come una morte dovuta a brutti giri di droga, viene riesaminato e considerato un omicidio avvenuto nella macelleria di San Patrignano, vero e proprio reparto punitivo della comunità di recupero. 

L’ennesimo scandalo legato alla comunità mette alla prova la fiducia della comunità e dell’opinione pubblica nei confronti di Muccioli. La filosofia terapeutica di Muccioli non convince più neanche i più fedeli sostenitori, coloro che ricoprivano posizioni apicali all’interno della comunità e che in massa defezionano. 

Per Muccioli e per San Patrignano è la fase discendente di una parabola vertiginosa. Per Muccioli è un ignominioso declino, un’inanellarsi di cadute, scivoloni, macchie sempre più infamanti, fino alla morte avvenuta in circostante tenute volutamente nascoste, eppure non così misteriose per chi lo conosceva bene. 

Ma al netto delle forze fisiologiche degenerazioni di una comunità non più gestibile, al di là del coinvolgimento del fondatore nelle vicende più torbide della comunità di San Patrignano, quello che accompagna chi guarda la docuserie di Netflix è l’incertezza, il dubbio, la difficoltà nel decifrare la figura di Muccioli che appare sempre liquida, ambigua, enigmatica

È forse il delirio di onnipotenza, il bisogno a tratti morboso di apparire e di ottenere consensi, la distorta percezione del giusto, del bene, la discutibile scelta di gestire una comunità difficile come il proprio nucleo familiare, l’arroganza che porta Muccioli ad arrogarsi diritti che non spettano ad un cittadino, la scelta di strade tortuose e torbide per perseguire il bene che impediscono fin dall’inizio di farsi un’idea positiva di lui, che impediscono di vedere in ogni suo sforzo, in ogni suo impegno la sola buona fede, l’innocenza di un sogno, la bontà di un benefattore. 

Gianluca Neri, ideatore della docuserie Netflix, senza mai dare una linea interpretativa precisa, senza mai tentare di imboccare la strada della verità, della soluzione, lascia spazio continuo a questa indecifrabilità, all’ambiguità, al dubbio.  

Altro dubbio martellante che serpeggia per l’intera docuserie è quali meriti intellettuali abbia Red Ronnie per essere interpellato come voce autorevole. Ma forse questo dubbio assale solo me e resta tuttora insoluto. 

Vedi anche: Netflix presenta il grande cinema: ecco Mank di David Fincher

Fonte immagine: netflix.com  

Valentina Siano

Valentina Siano, classe ’88, professoressa per amore, filologa per caso. Amo la scrittura come si amano quelle cose che ti riescono al primo colpo, non sapresti dire bene come. Scrivo di cultura e spettacolo perché amo il cotone verde del mio divano e il velluto rosso dei sediolini dei teatri. Leggo classici, divoro serie, colleziono sottobicchieri. Sono solo all’inizio della mia scalata alla rubrica gossip di Vanity Fair.

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