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Black Films Matter e Queer Cinema: al RIFF è Love&Pride Day

Per il terzo anno consecutivo in programmazione al RIFF – Rome Independent Film Festival, la giornata dedicata alla LGBTQ community e alle “periferie umane” nel mondo è ormai tradizione nella line-up della kermesse capitolina.

Ieri, 3 dicembre, in chiusura di questa atipica edizione online, una ricca selezione di cortometraggi in anteprima europea e mondiale è stata trasmessa in streaming sul sito web per raccontare il valore della pluralità.

Come tante altre manifestazioni messe in stop dall’emergenza sanitaria ancora galoppante, anche il Rome Independent Film Festival ha dovuto misurarsi con mezzi alternativi per rilanciare sul web questa XIX edizione online, iniziata il 26 novembre e conclusasi ieri sera nelle sale virtuali di MYmovies.

Da quasi vent’anni pioniere del circuito cinematografico indipendente ed internazionale, quest’anno l’offerta pensata per il pubblico a casa è stata ricchissima, con 85 opere italiane in anteprima assoluta tra documentari e lungometraggi, 26 paesi partecipanti ed esclusive masterclass con giovani autori ed esperti del settore.

Ma la chiusura di ieri, in particolare, ha voluto puntare i riflettori sulla dimensione inclusiva dell’arte, oltre che sulla sperimentazione del linguaggio filmico, aprendosi ad una vibrante exhibit di libertà sessuale e identità queer. Tra Francia, Colombia, Brasile e Messico, “maricas”, “drag” e “niggers” vengono raccontati in una babele di lingue ed accenti, per dare corpo alle fluide declinazioni di queste esistenze vissute drammaticamente in ombra.

In Paradise di Santiago Henao Velez & Manuel Villa (proiettato in anteprima mondiale) la cultura trans viene raccontata dalle voci di Megan, Dalila, Sharllott, Ciara e Barbara Queen, nello scenario notturno di una Medellín inedita, niente coca ed Escobar. Armate di trucco, costumi appariscenti e tacchi a spillo, sfilano in limousine per le strade deserte della città, in una parata carnevalesca che è fiera celebrazione di un’identità non binaria e del coraggio di abbracciarla.

È la disfatta del gender – ovazione di Judith Butler in platea – che ci mostra l’altro volto dello stigma, quello spettacolare e fiero della libertà sessuale in cui, come afferma Megan, “essere drag non è essere donna. È essere gay, ma con il turbo, a tutto gas. Significa spogliarsi delle paure di una vita e travestirsi fieramente”. “Siamo performers, seguiamo il metodo Stanislavskij per entrare nel personaggio”, le fa eco Dalila.

Ci spostiamo in Francia con Ten Times Love di Manuel Billi & Benjamin Bodi, una composizione di “dieci frammenti d’amore effimero nella vita di Numa, un eroe (anti)romantico del nostro tempo liquido”, presentato nei titoli di testa come un “exciting romance without love and feelings”. Un delicato racconto sulle gioie del sesso, in tutte le sue metamorfiche sfumature, ma anche sulle solitudini interiori che abitano i corpi nudi dopo l’atto, sulle parole bisbigliate, le smorfie imbarazzate e il dolore inatteso del distacco.

L’anteprima italiana di Dustin (Naïla Guiguet), è l’altro esperimento francese selezionato a Cannes a La Semaine de la Critique 2020. Protagonista è un giovane transgender affamato di amore e a caccia di atti casuali di gentilezza tra la folla impasticcata di un club techno. Alle prime luci dell’alba, a fine trip e a corto di droghe, vediamo la sua eccitazione e l’isteria collettiva di Felix, Rays e Juan, scolorare in un’avvolgente nostalgia di tenerezza, nell’attesa che qualcuno la saluti con un “Goodbye mademoiselle”, piuttosto che dover replicare ad offese e “misgendering questions” sulla sua identità.

Alle ore 18:00 la full immersion nel cinema queer viene intervallata da “Black Films Matter”, una talk in live streaming mediata da Lapo Gresleri, storico e critico della settima arte specializzato in cinema afroamericano, oltre che autore della monografia Spike Lee. Orgoglio e pregiudizio nella società americana (Bietti, Milano, 2018). Partendo proprio dall’iconico regista di Malcom X (1993), The 25th Hour (2002) e BlacKkKlansman (2018) – figura di raccordo tra il cinema afroamericano indipendente e le grandi major dell’industria cinematografica – si sono ripercorse le tappe di un filone che ha irreversibilmente scardinato i canoni della Hollywood classica, problematizzandone virtù e criticità.

Tra le pellicole di Lee Daniels, Ryan Coogler e George Tillman Jr. sono stati analizzati i tentativi embrionali di dare spessore agli afroamericani sul grande schermo, attraverso denunce esplicite alla violenza criminale dei corpi di polizia – ormai nota a tutti dopo il caso Floyd – ed una morale didascalica che potesse far presa sul pubblico nel modo più chiaro ed efficace possibile.

Una menzione finale a film come Creed e Black Panther non poteva mancare: pionieri della Black New Wave nel cinema a stelle e strisce, hanno consacrato un ribaltamento narrativo e produttivo radicale, sostituendo i WASP con i corpi neri di Michael B. Jordan e di Chadwick Boseman, primo, leggendario eroe di colore ad entrare nell’olimpo della Marvel.

Per concludere in bellezza: anteprima europea di 7 minutes di Ricky Mastro e il messacano Julián Hernández con Asphalt Goddess, vincitore del Teddy Awards al Festival di Berlino nel 2003 e nel 2009.

Ci si vede alla prossima maratona RIFF.

Francesca Eboli

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La Redazione

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