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La regina degli scacchi… e del πάθει μάθος  

La regina degli scacchi è una miniserie approdata da pochissimo su Netflix. Ha già scalato le classifiche e si fa strada, silenziosa ma tenace.

Cos’avrà questa serie di così affascinante?

È esattamente quello che mi chiedevo qualche giorno fa, quando ho intravisto la copertina dopo aver passato 15 minuti a sfogliare il catalogo di Netflix.

E alla fine annoiata, disperata, miseramente abbandonata a me stessa a e al mio divano, ho deciso che peggio di così non poteva andare.

Iniziamola.

Ed eccola, impetuosa, violenta, mi trascina a sé per ogni minuto, ogni episodio.

La storia di Beth Harmon è reale, cruda, ma ha anche l’accezione romanzesca del sogno e del desiderio che paiono irrealizzabili.

Dai 9 anni una passione per gli scacchi, e quando scrivo passione intendo esattamente questo: dedizione, sofferenza, dipendenza assoluta. Non è un hobby, non è un passatempo, è un pensiero costante che la perseguita notte e giorno.

È l’illusione del controllo, per una volta nella sua vita da orfana e indifesa, il controllo sulle persone, sulle situazioni, il controllo della storia che non riesce ad esercitare su se stessa.

La strada degli scacchi si incrocia con quella dei tranquillanti, ed è così che va avanti la vita di Elizabeth, tra la fragilità del passato e la tenacia di una bambina diventata donna, che sfida uomini più grandi, con più esperienza, sempre con lo stesso obiettivo: vincere.

“Genio e sregolatezza” si dice, ed è proprio così.

Il dolore della perdita non la abbandona, ma si intensifica, prima la madre biologica, poi la madre adottiva, neanche gli scacchi riescono a placarlo e Beth si ritrova più volte sul punto di esplodere.

I tranquillanti, l’alcool, lo shopping ossessivo, gli eccessi si sommano e dopo ogni delusione non fanno che moltiplicarsi.

Non è la solita storia di alcolismo, o di dipendenza, non è il solito racconto di una bambina prodigio che per raggiungere il suo sogno deve affrontare innumerevoli avversità.

Beth riesce a rialzarsi e vincere, riesce ad essere felice realmente solo dopo aver toccato completamente il fondo, solo dopo aver sperimentato il vuoto.

Una rappresentazione moderna del πάθει μάθος, della tragedia di Eschilo. La saggezza, l’insegnamento raggiunti solo attraverso il dolore.

Quindi non è solo transitorio, non è un incidente di percorso o qualcosa da dimenticare e mettere da parte. L’infelicità della protagonista e la sua maniera di affogarla sono fasi necessarie della sua vita, che non possono essere trascurate in relazione al traguardo finale.

Insomma, Netflix ci pone di fronte a un percorso di formazione fenomenale, a un’eroina che finalmente rispecchia la realtà, a un dramma catartico, proprio come la tragedia greca.

Un’altra imponente figura femminile, proprio come quella di Unorthodox, entrambe volte a lanciare il medesimo messaggio: non serve evadere dalla realtà per raccontare storie incredibili.

Angela Guardascione

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La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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