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Kim Ki-duk: 4 film imperdibili del genio del cinema coreano

«L’odio di cui parlo non è rivolto specificatamente contro nessuno, è quella sensazione che provo quando vivo la mia vita e vedo cose che non riesco a capire. Per questo faccio film: tentare di comprendere l’incomprensibile.»

Kim-Ki-Duk nasce nel 1960 a Bonghwa, piccolo villaggio della Corea del Sud. All’età di nove anni si trasferisce a Seoul, dove frequenta una scuola di avviamento professionale al settore agricolo. Abbandonati gli studi per problemi familiari decide di arruolarsi, all’età di vent’anni, nell’esercito; esperienza questa che condizionerà profondamente il suo modo di vedere, i rapporti interpersonali e, di conseguenza, l’estro e la creatività al servizio dell’arte.

Un altro momento, altrettanto importante, è quello in cui si avvicina alla religione, trascorrendo due anni in una chiesa per ciechi col fine di diventare predicatore. L’arte però-impeccabile passione coltivata negli anni- lo allontana in modo violento dal suo passato, intraprendendo, così, un viaggio nel vecchio continente, alquanto immerso nello stile bohémien.

Parigi diventa quindi la palestra migliore per un pittore che sopravvive grazie alle sue opere e che, a stento, porta avanti l’amore per l’arte vissuta completamente, iniziando, tra l’altro, a scrivere sceneggiature per il cinema.

Il regista sudcoreano è un vero genio dell’arte, un visionario, un maestro di coscienze. Il suo cinema è intessuto di immagini, in cui sono i corpi e i gesti a comunicare: la parola non serve, sarebbe troppo superflua per scardinare, scavare a fondo nell’anima del fruitore;

Infatti, non ci sono piani dialogici, ma quasi, azzarderei dire, metaforicamente, dipinti animati, che respirano, che camminano e comunicano in silenzio, proprio come un quadro dalle pennellate forti.

Amore, sesso, violenza, rapporti familiari sono rappresentati in modo violento, ma non è una violenza fine a sé stessa, essa si immerge nella complessa società coreana, nella storia e nella cultura di un tessuto sociale. La privazione della comunicazione verbale come reazione fredda ai soprusi della società, ai tormenti della psiche. Tra i vari capolavori cinematografici, quattro sono assolutamente da vedere: Moebius, Pietà, Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera, Ferro 3- La casa vuota.

  1. Moebius è una provocatoria cronaca familiare, tra il thriller psicologico, la commedia grottesca, un’ode perversa di piaceri del sadomasochismo e una sottile critica al principio del piacere dominante nei nostri giorni. Un film catartico e inquietante, una metafora potente della società contemporanea, del suo consumismo ossessivo, del suo edonismo superficiale e accumulato, portando ad una morbosa ossessione verso la sessualità. Tutto ciò si chiude e si ripete in un ciclo infinto come il nastro di Moebius suggerito dal titolo, trasfigurando la paradossale riflessione del regista sul legame viscerale che unisce i genitori ai figli, un legame che diventa incestuoso. Risulta essere una vera tragedia greca moderna, confinante in una commedia nera, tra dolore, piacere e follia sconvolgente. Il simbolismo provocatorio di questo film soverchia la nostra sensibilità, risvegliando una morale fin troppo dimenticata.
  2. Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera è un film atipico, si discosta dalle forme molto violente e torbide delle altre opere del regista. Questo film non parla di buddismo, o più ampiamente di religione, parla della vita prendendo in prestito alcuni elementi della religione buddista. Lo spettatore è immerso nella rappresentazione lirica ed estetizzante delle stagioni, ma al contempo, vi è un’apologia triste e costruttiva della condizione umana. Le vicende sono inserite in una narrazione circolare, come se ci fosse un passaggio di eredità nella lunga formazione da un individuo all’altro. Il discepolo da bambino imparerà a distinguere l’erba buona dalla cattiva, ma solo da adulto comprenderà quanto sia difficile distinguere il bene dal male e non riuscirà a schivare la trappola degli errori. Mentre le stagioni si susseguono, il discepolo cresce, cambia anche l’attore che lo interpreta – il capitolo invernale è interpretato dal regista in persona – e impara a sue spese che per eliminare alcuni pesi dal cuore occorre dedizione, rassegnazione e abnegazione. Non mancano scene violente, ma del tutto sublimate; come non manca una forte simbolismo rappresentato dagli animali.
  3. Pietà sembra inizialmente un titolo antitetico rispetto a ciò che il regista mostra nel film, ovvero un protagonista che di pietà non ne ha nemmeno l’ombra, mentre storpia le sue vittime per incassare i soldi delle loro assicurazioni. Lo stile autoriale si fa sentire con il suo innesto tra narrazione e estetica, fra riflessione e critica sociale. Dove finisce la pietà, inizia una vendetta spietata e tragica. Un piano subdolo per arrivare alla redenzione, alla presa di coscienza dei propri peccati e misfatti. Anche qui la forza di una madre arriva a superare ogni limite del normale e il dolore per il proprio figlio sarà il motivo di un lungo sacrificio carnale, di un contrappasso per l’anima spietata del protagonista, il quale dalla catarsi finale, arriverà alla purificazione.
  4. Ferro 3- La casa vuota è un film poetico e delicato, in cui le immagini e i silenzi sono i protagonisti di una leggera ma intesa affinità tra due spiriti simili e buoni, ingabbiati in una vita che non li rende felici. Emerge la solitudine colmata con la riparazione di oggetti rotti, per guarire un’anima spezzata a metà. Ferro 3 è la mazza da golf meno utilizzata dai giocatori, quella destinata a restare spesso da sola; lo stesso ferro 3 è anche l’arma della violenza, volontaria e non. “Mentre scegliamo in quale casa vivere, ci sentiamo sempre più liberi.  Nel momento in cui sembra che la nostra sete di libertà si sia placata, restiamo intrappolati all’interno di una casa buia. L’uno resta in una casa fatta di nostalgia.  L’altro impara a diventare un fantasma per nascondersi nel mondo della nostalgia”, spiega lo stesso regista. Alla fine il protagonista trova un modo tanto segreto quanto folle per restare accanto alla sua amata, per creare con lei un’intimità sacra, intoccabile. Entrambi riescono a diventare quasi eterei, perdendo la loro sostanza e il loro peso nella società; così, nell’ultima scena, insieme su una bilancia sono capaci di annullare la loro corporeità.

Marianna Allocca                                                       

Marianna Allocca

Mi chiamo Marianna Allocca e sono laureata in Filologia moderna. Nutro una grande passione per il cinema e le serie Tv. Mi piace la letteratura, l’arte, ma soprattutto amo Napoli con i suoi mille volti. Come direbbe Lars Von Trier, mi auguro di deludervi, perché credo che la delusione sia molto importante; se la si prova, vuol dire che si avevano delle aspettative.

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