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Menstrual art: pochi e giusti motivi per non smettere di sanguinare

C’è un momento esatto nella vita di noi donne in cui firmiamo la nostra condanna a (quasi) morte – il ciclo mestruale!

Accettiamo di placare l’insistente brontolio del nostro stomaco compiendo, a volte, atti di cannibalismo con chiunque ci stia vicino. Accettiamo di essere tristi e felici allo stesso momento, intolleranti a qualsiasi essere vivente e sensibili perché il nostro pesciolino rosso ha emesso la prima bollicina della sua vita. Accettiamo il dolore alla schiena, al collo, alle costole, al femore, al malleolo e perfino all’alluce. In cambio di cosa? Sangue!

Ebbene, cari lettori, vi assicuro che non è l’incipit di un film horror né una scena di Suspiria di Dario Argento, è solo il ciclo mestruale!

Maschietti ripetete insieme a me: C-I-C-L-O M-E-S-T-R-U-A-L-E.

Non è difficile, no? Eppure…

Ancora oggi, dopo billions and billions and billions di anni, si rabbrividisce all’idea che una donna abbia le mestruazioni o addirittura, abbia il coraggio e la scioltezza di parlarne in pubblico come se stesse discutendo dell’ultima serie tv vista su Netflix. “Come puoi parlare di questo? Basta, stai zitta. Mi fa schifo!” è stata la frase che ho sentito pronunciare in occasioni diverse, e purtroppo molte, e che per mia natura ho ignorato continuando a illustrare alla mia platea come io e la mia “compagna di vita” conviviamo in perfetta armonia.

È aberrante pensare che nel 2020 ci siano ancora tabù come questi e che dall’altra parte del mondo alcune culture associno il ciclo mestruale a un forte senso di repulsione costringendo alcune donne all’isolamento dalla vita quotidiana. Il simbolo delle mestruazioni è sempre stato invece, fin dall’antichità, carico di una forte dimensione spirituale perché si attribuiva alla donna la figura di una madre dai poteri curativi e fecondanti, capaci di renderla una guaritrice o una sciamana.

Se ancora oggi abbiamo repulsione per parti naturali della nostra vita c’è stata un’arte che ha saputo gridare e farsi sentire, violenta, fastidiosa e pungente come uno spillo nel sonno: la Menstrual art.

La Menstrual art consiste nella creazione di opere utilizzando come colore principale il sangue del proprio ciclo mestruale, trasformandolo in serio strumento d’arte. L’idea ha radici antecedenti poiché nel corso degli anni diversi artisti si sono cimentati nell’utilizzare le secrezioni del corpo umano quali feci, urina, sperma a volte come simbolo di denuncia, altre volte è solo Merda d’artista.

Il termina menstrala è stato utilizzato per la prima volta da Vanessa Tiegs per descrivere la serie di 88 dipinti che aveva realizzato utilizzando il sangue mestruale come allegoria di circolarità e universalità e per mettere in luce quell’argomento tanto disprezzato e nascosto appartenente alla vita femminile.

Molto diverso ma di forte impatto è l’approccio di Tamara Whyndam che stende il sangue mestruale sulla tela direttamente dalla sua vulva cercando di provocare shock e destabilizzazione in chi guarda.

Altrettanto “scandalosa” è l’artista e performer Judy Chicago che negli anni settanta aveva dato vita a progetti quali Menstrual Bathroom raccontando: “le mestruazioni sono qualcosa che le donne nascondono. Fino a quando avevo 32 anni, non ho mai avuto una discussione seria con le mie amiche circa le mestruazioni. Il bagno è un’immagine del segreto nascosto delle donne, coperta da un velo di garza, molto, molto bianca e pulita e deodorizzata, ad esclusione del sangue, l’unica cosa che non può essere coperta”; e Red flag in cui ad essere esposto è un tampone interno impregnato di sangue mestruale.

O come ancora Ingrid Berthon-Moine che nel progetto Red is the colour ha fotografato dodici donne che si sono offerte volontarie per usare il proprio sangue mestruale come rossetto. Ha inventato per ogni persona/ rossetto un nome-colore che prende in giro il modo in cui il marketing nel settore cosmetico costruisce identità femminili dal nulla.

Come ti senti oggi? Più rosso red carpet da Oscar o bordeuax vendemmia di nonno Francesco? Ecco, esattamente così!

Ma uno dei progetti più originali è sicuramente quello dell’artista tedesca Elone che per combattere il sessismo, la violenza contro le donne, gli abusi e i tabù tappezza la sua città Karlsruhe con assorbenti sui quali scrive messaggi forti e diretti. “Immaginate se gli uomini fossero disgustati dallo stupro come lo sono dal ciclo”, su uno di essi.

Un messaggio che incarna perfettamente l’obiettivo: da un lato, i corpi delle donne molto spesso sono visti come oggetti di utilizzo. Dall’altro, sono spesso negati quando si tratta di parlare di sangue: basti pensare alle pubblicità dove quest’ultimo diventa blu e le ragazze sono “costrette” a nascondere il loro periodo mestruale considerato come qualcosa di imbarazzante e vergognoso.

Così gli assorbenti costringono lo spettatore a guardare al corpo delle donne in modo non convenzionale, a pensare all’eguaglianza fra uomini e donne.

Allargando l’orizzonte di analisi al resto del mondo due episodi in questione hanno sollevato non pochi dibattiti.

Il primo è la maratona corsa da Kiran Gandhi, che si è fatta notare per aver partecipato alla gara con le mestruazioni in corso e senza indossare l’assorbente, mettendo al primo posto il suo benessere psico-fisico. Il secondo vede come protagonista la poetessa Rupi Kaur che ha postato su Instagram una foto di lei di spalle, distesa sul letto con il pantalone e il lenzuolo sporchi di sangue mestruale che il social ha chiesto subito di eliminare ma che alle parole della ragazza “ma una maggioranza di persone, società e comunità rifiutano questo processo naturale. Alcuni sono più a loro agio con la sessualizzazione delle donne, la violenza e la degradazione delle donne, ma non con questo. Non gli interessa minimamente esprimere il loro disgusto riguardo tutte queste cose, ma si arrabbierebbero e sarebbero infastiditi dalle mestruazioni. Noi abbiamo le mestruazioni e loro lo vedono come una cosa sporca, per attirare l’attenzione, malata, un peso. Come se questo processo fosse meno naturale di respirare. Come se non fosse un ponte tra questo universo e l’ultimo. Come se questo processo non fosse amore, travaglio, vita. Altruista e straordinariamente bello” si è sentito costretto a rimettere online.

Ecco, forse dopo queste parole vi sentirete disgustati, nauseati o forse avrete interrotto il pezzo già da un po’ senza arrivare fin qui.

La realtà è che quando a Napoli dicono “San Gennà biat a te ca o sang s’è scigliuto, ije o sang o sto ittann” noi lo buttiamo davvero, letteralmente.

Ma mica ve ne facciamo una colpa?

Noi siamo femmene ecologiche e del maiale non buttiamo niente.

Serena Palmese

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La Redazione

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