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La Sfinge, oltre l’Egitto c’è di più

Quando pensiamo alla Sfinge, come prima immagine ci balena in mente senza dubbio la Grande Sfinge d’Egitto, che troneggia imperiosa accanto alle tre piramidi di Cheope, Chefren e Micerino. Misteriosa, inscalfibile, muta eppur ricca di segni indecifrabili, satura di una storia che non ci perverrà mai integra.

Ma da dove proviene, la Sfinge? Appartiene all’iconografia dell’arte egizia o le sue origini e i suoi significati vanno ricercati in altri luoghi ed in altri tempi?

Come viene raffigurata nelle diverse culture?

Cosa rappresenta il suo corpo chimerico, di donna, di uomo, di grifone, leonino ed antropomorfo al contempo?

La Sfinge, con fattezze e ruoli differenti, legata a simboli e miti sofoclei, a tragedie come Edipo Re, appare anche nell’antichità greca. Mostruosa e insidiosa, essa spinge l’uomo al pensiero, all’interrogazione attiva sulla sua condizione labile. Gli indovinelli della Sfinge di Tebe – infatti – sono un pungolo per i viandanti, quel pungolo scomodo che permea tutto il pensiero greco: la filosofia dell’io, l’auto-riflessione. Questa sfinge è una figura femminile, un ibrido con seni, volto di donna, criniera leonina, zampe feline e ampie ali grifoniche.

La sfinge tebana propone l’enigma: “Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, bipede e tripede?
La risposta, come tutti ben sappiamo, è l’uomo, che viene al mondo gattonando, imparando a camminare crescendo, per poi invecchiare ed essere costretto ad appoggiarsi ad un bastone per deambulare. Edipo è l’unico, ecce homo, a risolvere il dilemma e ad avere accesso a Tebe, ma pagherà il prezzo del suo successo. La sfinge resta nella cultura greco-latina e nel mondo occidentale emblema di un rito di passaggio, un ostacolo da superare ed una creatura meticcia, la cui impossibile decodificazione spinge l’essere umano nell’abisso del sé, o nell’ignoto, nel nulla. Non tutte le rappresentazioni della sfinge sono così controverse. La sfinge egizia, priva delle caratteristiche femminili, veniva invece utilizzata in Egitto – è in effetti la sfinge più antica alla quale riusciamo a risalire – per rappresentare il faraone. La sfinge identificava il faraone con il Dio Sole, Atum-Ra, garantendone la posizione di protettore divino dell’Egitto e della sua popolazione. Simbolo di regalità e divinità, quindi.

Tuttavia, è in Turchia che troviamo la raffigurazione più antica della sfinge, una sfinge ancora diversa, ancora più mostruosa. La sfinge etrusca, indiana, thailandese, si presentano in forme ulteriormente variegate, composte, rebus eterni. La forma etrusca, nonostante sia alata, ricorda maggiormente la versione egizia, mentre le sfingi orientali prendono ispirazione dalla sfinge ellenica. In entrambe le culture, essere sembrano svolgere una funzione protettiva, e sembrano assumere sembianze principalmente di donna. Seni, lunghe chiome, volti delicati, acconciature tipiche della cultura e del tempo le rendono fortemente femminili, belle, esteticamente identificabili.

La potente ispirazione dietro la mitologia e la simbologia di questo essere antico, misticamente connesso al femminile e al ferino, al sole e al potere divino, si è conservata intatta nel tempo, permeando anche l’arte moderna e contemporanea. In particolar modo, simbolisti come Fernand Knopff e pre-raffeliti come Odilon Redon (in quadri come Edipo e la Sfinge, 1869) o Gustave Moreau hanno reinterpretato in modo personale l’iconografia della sfinge, rappresentandola come incarnazione della femme fatale e dell’inganno.

In Moreau, la sfinge è persino erotizzata, con seno nudo ed appoggiata al petto di Edipo, anch’egli nudo, come se fosse la sua amante.

Nonostante l’uso diffuso e geograficamente vasto che ne è stato fatto, tuttavia, possiamo dire che la Sfinge non abbia risolto in alcun modo il fitto mistero del proprio fascino, l’ibrido pericolo della sua immagine poliedrica e multiforme, né spiegato la propria origine e funzione. Forse, proprio in questa assenza totale di elementi cardine e potenziale polisemia, risiede la ragione di così tanta fascinazione e ritualistica raffigurazione.

Sveva Di Palma
Vedi anche: Il primo test di gravidanza è made in Egitto

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.
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