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L’oggetto feticcio memoriale  

Quanti di voi dopo la fine di una relazione, di un’amicizia o dopo aver subito una perdita hanno finito con il legarsi in maniera particolare ad un oggetto che gli ricordava la persona persa?

Quanti di voi quindi, hanno finito con il trasformare un semplice oggetto in un oggetto feticcio?

Il termine “feticcio”, che deriva da “feticismo”, nel corso del tempo ha finito con il perdere le connotazioni negative che aveva in passato.

Principalmente questo termine veniva utilizzato per descrivere pratiche religiose incomprensibili e inusuali che la venerazione di oggetti di diversa forma e materiale, adorati, nelle religioni antiche, come divinità.

Per quanto il tutto sia principalmente legato all’ambito delle religioni, il punto di partenza sta comunque nel fatto che c’è un equilibrio primitivo che si è venuto a perdere e il compito del feticcio è quello di sostituire ciò che si è perso. È, quindi, una contraffazione di una realtà che non c’è più per cui si tende a proiettare sul feticcio attese, simboli, valori affettivi.

Nell’età moderna, in mano a due grandi pensatori quali Marx e Freud, il “feticcio” viene analizzato diversamente diventando anzi oggetto di analisi antropologica, psicologica e filosofica.

Il feticismo delle merci diviene elemento chiave nella teoria capitalistica, mentre nell’ambito della psicoanalisi la perversione feticista assume un ruolo centrale.

Proprio Freud, nel breve incipit intitolato appunto Feticismo, arriva alla conclusione che il feticcio altro non sarebbe che la sostituzione del fallo materno. In breve, l’autore asserisce che il feticcio preserva il soggetto dalla separazione del fallo della madre: il paziente dovrebbe rinunciarci ma non essendo pronto a farlo, utilizza il feticcio per evitare, o quanto meno rendere meno traumatica, la separazione.

Come abbiamo detto l’oggetto feticcio non è stato solo materia di dibattito psicologico ma anzi, ha toccato tutte le arti: letteratura, cinema, spettacolo, arte.

Riattivare la memoria è forse uno dei ruoli principali che l’oggetto svolge nella letteratura, cosa che ci ricollega ovviamente alla teoria di Freud secondo la quale l’oggetto tende a sostituire un qualcosa che si è perso per sempre.

Va detto però che l’oggetto feticcio non sempre viene visto come sostituzione di ciò che è venuto a mancare, ma delle volte va addirittura a trasfigurare quella mancanza nell’oggetto con una funzione quasi terapeutica.

L’arte quindi, viene utilizzata come sopravvivenza della memoria.

Molte sono le opere, soprattutto tra ‘800 e ‘900, che trattano dell’oggetto feticcio memoriale.

Un esempio calzante è stato il romanzo Una bella immagine di rassegnazione di Sophie Van la Roche.

L’opera racconta dell’amore di un nobile inglese per una bella donna francese totalmente devota al ritorno del marito sparito dopo la Rivoluzione. L’uomo è così attratto da questa donna che non avrà mai, che suggella questo amore impossibile staccando una pietra dall’altare dove la donna stava pregando. In questo caso quindi abbiamo un oggetto-feticcio che ha avuto addirittura un contatto con la donna e sul quale verrà costruito un parco in suo onore.

L’oggetto feticcio in questione viene quindi utilizzato per sostituire completamente questo amore impossibile e irraggiungibile.

Questo romanzo ci collega ad un’altra opera molto simile del ‘900 che è Il museo dell’innocenza di Pamuk dove l’oggetto memoriale è al centro del tutto.

L’opera è un misto tra letteratura e visualità perché la storia narra di un amore finito tra due giovani amanti e di un lui che, non riuscendosi a rassegnare per la perdita dell’amata, inizia a collezionare tutti gli oggetti che gli ricordano la donna creando un vero e proprio museo personale. Tutti gli oggetti in questione, quindi, hanno il compito di sostituire quest’amore.

Grazie all’ottima capacità descrittiva di Pamuk, gli oggetti acquistano una visualità non indifferente che diviene reale nel 1999 quando l’autore decide di affittare un edificio per creare davvero il “museo dell’innocenza”. Egli si preoccupa infatti di raccogliere personalmente o di far costruire tutti gli oggetti che vengono menzionati nel romanzo creando realmente il museo della sua fantasia e inserendo, nell’ultima pagina del libro, un biglietto che permetteva il reale accesso ad esso.

Tutti gli oggetti che l’autore descrive nell’opera, hanno una funzione terapeutica che vanno ad alleviare il dolore della separazione.

Ovviamente il ruolo dell’oggetto memoriale entra in funzione a pieno quando i due amanti si separano definitivamente. Quando i due prendono strade diverse, l’uomo inizia questa collezione maniacale di oggetti appartenuti alla donna con la speranza di sopperire alla bruciante mancanza. Egli però non inizia a collezionare solo oggetti che gli ricordano la loro storia, ma anche oggetti generali appartenuti alla donna come alcuni giocattoli dell’infanzia.

È come se volesse possederla ancora a pieno, come se volesse riviverla in tutto e per tutto, ma questa funzione “consolatrice” non funziona a pieno: è un misto tra euforia e disfonia. Per quanto l’amante sia felice nel toccare quegli oggetti, nel rivivere quegli attimi come se fossero reali, la sua è solo un’illusione.

Nessuno è mai pronto a subire una mancanza o una perdita. Come si fa a preparare il cuore ad una mancanza? Non si fa, molto semplicemente. Così quando accade, inconsciamente, le tentiamo tutte pur di ricordare ancora, pur di essere felici ancora una volta, pur di non lasciar andare via tutto per sempre insieme al tempo. Abbiamo tutti un museo dell’innocenza nascosto chissà dove tra anima e corpo, un museo solo nostro che rispolveriamo sempre con cura dove teniamo nascosti tutti quegli attimi che non saremo mai pronti a lasciar andare una volta per tutte.

Il museo dell’innocenza è il romanzo che più mette a nudo il significato dell’oggetto feticcio, che dà voce a un meccanismo inconscio che appartiene a ognuno di noi.

E nel vostro museo dell’innocenza, cari lettori, cosa avete nascosto?

Adele De Prisco

Adele De Prisco

Adele De Prisco, nata nel cuore dell'inverno nel quasi ormai troppo lontano 1995 a Gesualdo, è una laureanda in Filologia Moderna presso la Federico II. Non ama definirsi né raccontarsi, nella maggior parte dei casi non è nulla di quello che pensate voi. Dunque, tutto quello che c’è da sapere sul suo conto lo scoprirete leggendola su La Testata, o forse no.
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