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Vita eccezionale di un uomo ordinario: “Stoner”, di John Williams

Ad ogni compleanno mi sorprendo sempre di più nel constatare una spiacevole verità, ossia come, col passare del tempo, gli auguri e i regali diminuiscano in maniera direttamente proporzionale e inesorabilmente cadenzata.

A dirla tutta, i secondi si manifestano con frequenza ancor minore rispetto ai primi, in quanto richiedono un impiego ancor più significativo di risorse psicofisiche ed economiche. Ebbene, non molto tempo fa ho compiuto gli anni e tra i pochi auguri e gli ancor meno regali, due care amiche, esasperate da un decennio di chincaglierie varie, hanno deciso di omaggiarmi con un presente appartenente alla categoria evergreen, ossia un libro. Confesso che nello scorgere la busta di un famoso editore e dunque nell’escludere – a meno di un improbabile scherzo – l’ennesimo paio di orecchini, ho provato un certo qual senso di sollievo. Scartato il pacchetto mi sono ritrovata tra le mani un volume di corporatura dignitosa ma dalle generalità completamente ignote. “Conosci questo libro?”, mi ha chiesto una delle due. “È Stoner di John Williams. A me è piaciuto tantissimo, vedrai che per te sarà lo stesso”. Il titolo non mi diceva davvero nulla, ma rigirandomi il volume tra le mani ho notato le entusiastiche recensioni di Ian McEwan, Peter Cameron e Tom Hanks stampate sulla copertina, le quali mi hanno infuso un senso di placida fiducia.

Passata la notte ho iniziato la lettura, e ho impiegato davvero poco a piombare nella narrazione, pur percependo che c’era qualcosa di strano. Questo qualcosa era rappresentato dal fatto che Stoner è un romanzo che non parla quasi di nulla se non della vita di un uomo, William Stoner, per l’appunto, che nasce nel Missouri nel 1891 e vi muore nel 1956, e che in questi sessantacinque anni diventa professore, sposa l’algida e nevrotica Edith, ha una figlia e una relazione amorosa con un’altra donna. Insomma, niente di rocambolesco. Nessun twist plot, nessun tipo di suspense. Anzi, detta così, sembra che la trama del romanzo – ammesso che si possa chiamare trama quanto citato – non sia particolarmente invogliante. Al contrario, ci sono tutti i presupposti per un romanzo noioso, uno di quelli la cui lettura resta incompiuta senza che la cosa generi rimpianti o sensi di colpa.

E invece no. Invece non succede. Succede, invece, che per qualche assurdo motivo il romanzo scorra piacevolmente, si lasci leggere con la dovuta attenzione, con la silente speranza di intrattenerci e senza la pretesa di insegnarci alcunché. Ed è quasi prodigioso come un testo che non parli di nient’altro che della vita di un singolo uomo, un uomo per giunta assolutamente qualunque, sia diventato un best seller negli ultimi quindici anni.

Come è potuto avvenire? È avvenuto perché Stoner riesce a parlare all’uomo dell’uomo, senza bisogno di generare faticose identificazioni con miserevoli destini o siderali figurazioni di gloriose esistenze. Semplicemente la vita di un uomo, come le nostre vite lo sono, con quanto di bello e quanto di brutto faccia parte di esse, col comune destino di far qualche eco nelle vite di chi incroci la nostra, e poi forse mai più.

Come dicevo, Stoner è diventato un best seller negli ultimi quindici anni circa, e in Italia da ancor meno tempo, grazie al contributo del passaparola, essendo stato pubblicato per la prima volta nel 2012. Il romanzo risale invece al 1965, anno in cui arrivò a vendere solo un paio di migliaia di copie. A pensarci bene, John Williams e il suo personaggio, William Stoner, condividono un destino assai simile, quello di attraversare in punta di piedi il proprio tempo, ignari del valore del proprio operato, del cui riconoscimento non riusciranno mai a godere. Per fortuna, ci siamo noi a farlo per loro.

Francesca Grasso

 

 

La Redazione

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