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Antonia Masanello: storia di una donna che ha combattuto per l’Italia unita

A differenza di quanto si crede, il Risorgimento italiano non fu solo un affare di uomini intrepidi, con alti ideali. Al sogno di un’Italia unita e libera si unirono e parteciparono attivamente anche molte giovani donne coraggiose che organizzarono comitati, scrissero libri e articoli di giornale, trasmisero informazioni cruciali, curarono feriti e parteciparono a barricate e sommosse armate, ricevendo anche numerosi elogi e proclami nazionali dal Generale, il quale dopo l’unità non mancò di aderire alla causa dell’emancipazione femminile. Eppure solo una combatté sul fronte nell’esercito dei Mille: il suo nome era Antonia Masanello.

Le leggendarie imprese della Masanela vennero tramandate nei filò di Montemerlo, attraverso pochi genuini versi gergali, che non celano il disappunto per il poco (o nullo) rilievo che le fu dato nella propria terra natia:

“Fra i tanti eroi della nostra storia / registrar dovemo la Masenela / par conservar viva la memoria / de sta gueriera dona, forte e bela; / sui campi de bataglia tanta gloria / e tanto onor l’à vudo, e come stela / la sluse in alto su nel firmamento / questa eroina del Risorgimento. / Ma nel so paese dove la xe nata / no ghe xe un segno o sora de na piera / un scrito che ricorda la so data / par darghe un fiore o dirghe ‘na preghiera.”

Tonina nacque da Antonio e Maria Lucca nella calda estate del 1833 in un piccolo paesino del Veneto, alle pendici settentrionali dei colli Euganei, in una zona periferica situata a pochi passi dal porto fluviale del Castello di San Martino della Vaneza, all’epoca sotto la dominazione degli Austriaci. Della sua infanzia, come si può immaginare, si conosce ben poco, ma la maggior parte delle informazioni che si tramandano su di lei sono connesse a un fervente credo rivoluzionario. Già in tenera età ha cominciato a prendere parte alle sommosse cittadine, a quindici anni ha partecipato ai moti del ’48 contro il governo straniero. Poco dopo sposò per amore Bortolo Marinello, con il quale condivideva ideali di libertà e giustizia. La polizia asburgica li teneva sotto controllo giorno e notte; sospettati di simpatie liberali e forse prossimi all’essere arrestati decisero di oltrepassare il confine del Lombardo-Veneto delimitato dal Po e di riparare in città ducale. Per qualche tempo in questo luogo fece il mestiere di “brentajo”, costruiva brente, ovvero mastelli per il bucato.

Nella primavera del 1860 il marito di Antonia la rende partecipe dell’imminente partenza di Garibaldi per la liberazione dell’Italia meridionale, senza indugio lei gli comunica che parteciperanno all’eroica impresa. Insieme. Assieme al marito, dunque, la Masanella si diresse a Genova per l’imbarco, purtroppo senza giungere in tempo. Senza perdersi d’animo, la coppia si mise in mare su una delle imbarcazioni che avrebbe dovuto portare rifornimenti di uomini, vestiario e armi a Garibaldi e approssimativamente attorno alla metà del luglio 1860, a bordo del piroscafo “Torino”, sbarcarono a Palermo con un contingente di due migliaia di volontari. Sulla fine di un luglio caldissimo raggiunsero i Mille a Messina, giusto in tempo per la celebre battaglia di Milazzo, la più sanguinosa tra tutte quelle combattute dai coraggiosi volontari, i quali ormai avevano raggiunto un numero ragguardevole, attorno ai cinquemila.

La donna, come spesso è successo, per essere arruolata e per partecipare attivamente all’impresa dovette rinunciare alla sua identità e appropriarsi di una fasulla e, guarda caso, maschile. Prese astutamente il cognome del marito, affermando di essere suo fratello e poté finalmente vestire la celebre uniforme dalla giubba rossa, combattendo al fianco di migliaia di uomini che oltre alla giubba indossavano il suo stesso fiero coraggio di essere italiani e di combattere per gli ideali di libertà. Venne inquadrata dunque nel terzo reggimento della brigata Sacchi e da quel momento cominciò la sua campagna per la liberazione contro l’esercito delle Due Sicilie.

In un esercito come quello garibaldino, dove piuttosto che l’ordine e la disciplina, l’entusiasmo e la fervente passione rivoluzionaria costituivano i capisaldi dell’azione, per Masanello fu certamente meno difficile confondersi nella folta schiera di coloro i quali hanno combattuto in una delle più grandi imprese della storia italiana. Non ritengo sia necessario sottolineare che si distinse per ardimento ed eroismo rispetto a suoi colleghi del sesso opposto, poiché credo che essere donna non vuol dire essere manchevole in audacia, nonostante molto spesso sia stato, ed è talvolta tutt’ora complicato, trasmettere tale elementare concetto.

La Masanella si fece onore tra le fila del generale Garibaldi e la leggenda vuole che ad un tratto ad Antonia sfuggì il berretto e le caddero i capelli biondi sul volto e sulla schiena dinanzi al Generale che non proferì parola. Il 7 settembre 1860 le camice rosse rientrarono vittoriose a Napoli e Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II la sovranità sull’Italia unita. Antonia assieme al marito e agli altri volontari venne congedata con onore. Insieme a Bortolo, da cui non si era mai staccata, in un primo momento giunse a Modena; non ritornò mai nel Veneto, ancora sotto il giogo asburgico, andò, invece, a Firenze, in “una delle più umili casette che sono alla Piazza dè Marroni” nel “popolo” dei SS. Michele e Gaetano in Bertelde, dove visse, sconosciuta a tutti, nella più cupa povertà. A causa delle dure condizioni che aveva patito durante la spedizione nel meridione si ammalò gravemente di tisi e terminò i propri giorni il 20 maggio 1862. Spirò tra le braccia del suo amato che l’aveva accompagnata nella sua eroica impresa di emancipazione.

Solo alla sua morte un giornale locale decise di raccontare la sua avvincente storia. Così al suo funerale parteciparono centinaia di persone: tantissime donne, gente del popolo, ex garibaldini. Tutti vollero onorare “la guerriera di Garibaldi”. Venne sepolta nel cimitero fiorentino di San Miniato “all’ombra della torre”, sebbene ora non riposi più lì a causa di uno smottamento del terreno che costrinse a spostare le sue spoglie, dopo circa un secolo, al cimitero fiorentino di Trespiano. L’epitaffio sulla sua tomba fu composto dal poeta Francesco dell’Ongaro e recita così:

“Era bionda, era bella, era piccina ma avea cor di leone e di soldato. E se non fosse che era donna le spalline avria avute e non la gonna e poserebbe sul funereo letto con la medaglia del valor sul petto. Ma che fa la medaglia e tutto il resto? Pugnò con Garibaldi e basti questo”.

Luisa Ruggiero

 

La Redazione

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