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Kubrick nel terzo millennio

di Federico Mangione

 

«Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato.»

Stanley Kubrick

Chi dice che i registi sono buoni per tutte le stagioni? In questa rubrica mensile delineerò dodici profili per dodici registi, assegnandone tre ad ogni stagione.

L’ultimo profilo invernale è quello di Stanley Kubrick.

BIO. Stanley Kubrick nasce a New York il 26 luglio 1928. Da bambino si appassiona ai miti greci e alle fiabe nordiche e si dedica agli scacchi e alla musica jazz. L’inizio del suo rapporto con l’immagine avviene a tredici anni, quando il padre gli regala la sua prima macchina fotografica. Kubrick si dedicherà così, parallelamente alla scuola, allo studio della fotografia e al contempo si appassionerà anche alla filosofia, quella nietzschiana in particolare. La sua carriera cinematografica inizia però nel 1949, quando auto-produce il suo primo cortometraggio Day of the fight, che vende poi alla RKO, la quale produrrà anche il secondo lavoro del cineasta. Dopo i primi due lungometraggi (Paura e desiderio e Il bacio dell’assassino), lo spartiacque per la sua carriera è la firma del primo contratto con la United Artists nel 1955. Nasce così il mito Stanley Kubrick, il cineasta più complesso e visionario della storia del cinema, che scomparirà alle soglie del terzo millennio, ma le cui opere lo avevano già catapultato nel duemila.

STILE. Immagine e musica, spazio e tempo. Stanley Kubrick era un cineasta immerso completamente nella sua opera e alla ricerca della perfezione dell’immagine e alla ricerca del perfetto equilibrio tra tutti gli elementi che compongono un film. Maniacale era la cura per la luce, la posizione di attori e oggetti nella scena e per le simmetrie e la prospettiva. Un esteta totale che nelle sue pellicole ha reso omaggio, con le sue inquadrature, all’arte pittorica, in particolare del Seicento e del Settecento. A suggellare il quadro, la perfetta integrazione della musica gli permette di suscitare le più forti emozioni nello spettatore. Grande innovatore e alla ricerca delle più innovative tecniche, il suo cinema è manifesto dell’integrazione tra etica ed estetica, quasi a voler rompere la barriera tra l’arte per l’arte e l’arte sociale.

IL FILM. Arancia meccanica è il capolavoro di Kubrick del 1971. Il titolo del film, tratto da un romanzo di Anthony Burgess, rimanda ad un detto londinese, che recita “È strano come un’arancia meccanica” (“Asqueeras a clockworkorange“), che vuole indicare un qualcosa all’apparenza normalissimo, ma che in realtà cela una natura del tutto inusuale al suo interno. Il riferimento è ovviamente al protagonista del film, Alex DeLarge – interpretato da Malcom McDowell – un giovane figlio di operai, apparentemente un bravo cittadino, ma che è in realtà a capo della banda dei Drughi, con la quale semina violenza efferata in tutta Londra. Il film è un manifesto di una distopica società dedita alla più brutale violenza, compiuta solo per il piacere che ne deriva dal commetterla. Altra faccia della medaglia del Drugo Alex DeLargeè la passione per Beethoven, in una sorta di “elogio” nietzschiano al caos da cui, tuttavia, scaturisce l’equilibrio dell’arte.

disegno di Alberto de Vito Piscicelli 

La Redazione

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