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La Belle Époque: il cinema come sguardo dominatore

La Belle Époque è legata a tante e importanti invenzioni dell’inizio del 1900: l’illuminazione elettrica, le automobili, la radio, il cinema, il vaccino per la tubercolosi, il primo aereo e i raggi X.

È l’epoca della ghisa e del carbone, della produzione di massa e dei manifesti pubblicitari. È un’epoca legata ad un ampio sviluppo delle arti: nasce il cinema con i fratelli Lumière e, sempre in Francia, si afferma l’Impressionismo con Renoir, Manet, Degas, Cézanne, Monet. In Italia, con il Manifesto di Filippo Tommaso Marinetti nasce il Futurismo.

In un caffè parigino il pubblico assiste alla prima rappresentazione cinematografica dei fratelli Lumière. È la Belle Époque. Sperimentazioni cinematografiche, spettacoli teatrali. È l’epoca di Marie-Georges-Jean Méliès, prestigiatore e inventore, che presenta nei teatri i suoi spettacoli illusionistici.

Con il cinematografo dei fratelli Lumière del 1895 ha inizio il cinema vero e proprio, composto da uno spettacolo di proiezione di fotografie (il primo proiettato il 28 dicembre 1895 in un seminterrato di un locale parigino) scattate in rapida successione, in maniera da dare l’illusione di movimento ad un pubblico radunato in una sala.

Più antico era il cinetoscopio di Thomas Edison, con lo stesso procedimento di animazione delle immagini che scorrevano in rapida sequenza, però il modo di fruizione monoculare (non proiettato) lo rendeva antenato del cinema vero e proprio, ovvero l’ultima fase del pre-cinema. La proiezione comportava, dopotutto, un maggiore guadagno economico per via della fruizione collettiva, grazie alla quale si impose presto.

In realtà le invenzioni legate alle fotografie in movimento furono innumerevoli in quegli anni (si contarono nella sola Inghilterra circa 350 brevetti e nomi). Tra tutte queste l’invenzione dei Lumière aveva l’innegabile vantaggio della valida cremagliera, che trascinava la pellicola automaticamente a scatti ogni 1/25 di secondo, e una praticità mai vista, dal momento che la macchina da presa era una piccola scatoletta di legno facilmente trasportabile, che all’occorrenza, cambiando solo la lente, si trasformava anche in macchina da proiezione.

Per quanto riguarda il nome per il cinematografo proposto da Lumière pare fosse stato Domitor, contrazione del latino dominator, che rispecchia i sogni e le suggestioni di onnipotenza del positivismo.

Osservare la vita quotidiana degli altri o di se stessi – anche se non erano infrequenti le auto-rappresentazioni – e salvarla nel tempo era una sorta di potere di registrazione delle cose, anche di vittoria sulla morte, facendo eco persino nella letteratura contemporanea: nel romanzo Il castello dei Carpazi del 1892 Jules Verne narrava di un inventore che riusciva a riprodurre le immagini e la voce di una cantante della quale era innamorato, per far sì che la donna fosse sua per sempre.

Inoltre, assistere alle proiezioni cinematografiche giovava allo spettatore nel vedere senza essere visto, come un “dominatore” del mondo, appunto: lo spettatore si sente, tutt’oggi, inconsciamente superiore ai personaggi ed è gratificato dal presenziare le loro vicende.

Non a caso, la visione frontale del cinematografo era quella, usata anche nel teatro, riservata al principe e alle personalità più importanti. Le vedute di “dominatori” sono molto evidenti nei primi documentari girati con la cinepresa dei Lumière nei primi due decenni del Novecento: nei filmati di Albert Kahn, Luca Comerio, Roberto Omegna si può notare lo sguardo di superiorità verso le culture differenti da quella occidentale, legato alle ideologie del colonialismo e della conquista spietata.

Essenziali per il cinematografo Lumière sono le cosiddette “vedute animate”, ovvero scene realistiche prese dalla quotidianità che duravano circa cinquanta secondi, ovvero la durata di un caricatore di pellicola. L’interesse dello spettatore era tutto nel guardare il movimento in sé e nello scoprire luoghi lontani, non tanto nelle storie recitate a teatro.

Le inquadrature erano fisse e non esisteva, se non in casi eccezionali, il montaggio; erano caratterizzate da un’estrema profondità di campo e da personaggi che entravano ed uscivano dall’inquadratura, in una molteplicità di centri di attenzione (si pensi all’uscita dalle officine Lumière). La centratura dell’immagine veniva valutata approssimativamente, perché la macchina da ripresa Lumière non era dotata di mirino.

L’operatore non era invisibile, anzi, spesso interagiva con i personaggi e le persone ritratte erano invitate a riguardarsi alla proiezione pubblica (“auto-rappresentazione”). Questa caratteristica venne poi considerata come un difetto della registrazione nel cinema successivo, venendo poi rivalutata solo in epoca contemporanea.

Solo in secondo momento nacquero le riprese in movimento (effettuate da treni in partenza o imbarcazioni) e, circa un decennio dopo i primi esperimenti, i Lumière iniziarono a produrre film veri e propri composti da più “quadri” messi in serie, ma proiettati separatamente, come le Passioni di Cristo. Figura fondamentale nelle rappresentazioni restava l’imbonitore che, come ai tempi della “lanterna magica”, istruiva, spiegava e intratteneva il pubblico commentando le immagini, che ancora non erano intelligibili autonomamente.

Dopo i fratelli Lumière, il “secondo” padre del cinema è stato il francese Marie-Georges-Jean Méliès per l’introduzione e la sperimentazione di numerose novità tecniche e narrative. A lui è attribuita l’invenzione del cinema fantastico e fantascientifico e di numerose tecniche cinematografiche; in particolare del montaggio, la caratteristica più peculiare del nascente linguaggio cinematografico.

È universalmente riconosciuto come il “padre” degli effetti speciali. Scoprì accidentalmente il trucco della sostituzione nel 1896 e fu uno dei primi registi a usare l’esposizione multipla, la dissolvenza e il colore.

Con la diffusione del cinema, verso la fine degli anni Trenta, la fama del Moulin Rouge (vicino Montmartre è uno dei più famosi locali di Parigi) sembrò affievolirsi, ma si trattò solo di un periodo transitorio.

Il cinema oggi è cambiato grazie al progresso, alle tecniche innovative, ma non ha mai smesso di dominare, e, come ha affermato Ingmar Bergman: “non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima”.

Marianna Allocca

Marianna Allocca

Mi chiamo Marianna Allocca e sono laureata in Filologia moderna. Nutro una grande passione per il cinema e le serie Tv. Mi piace la letteratura, l’arte, ma soprattutto amo Napoli con i suoi mille volti. Come direbbe Lars Von Trier, mi auguro di deludervi, perché credo che la delusione sia molto importante; se la si prova, vuol dire che si avevano delle aspettative.
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