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Susanna e i vecchioni: una denuncia su tela

di Luisa Ruggiero

La carriera di Artemisia Gentileschi comincia nella bottega paterna, nella quale, dopo la prematura morte della madre e a dispetto delle convenzioni del tempo, venne destinata con altri allievi, tra cui spiccò per merito, tanto da soffocare in breve tempo anche la fama paterna.

Il confronto tra i due lascia trasparire quel vigore e quella grazia tutta femminile di cui sono interpreti le sue donne. Infatti, la sua Maddalena penitente, del 1617, se confrontata con quella dimessa e straziata del padre, del 1605, mostra l’enorme espressività di una donna seducente, commossa ma non dilaniata dal dolore; indossa un meraviglioso abito color oro dal quale spunta la spalla, lasciata scoperta a sottolineare una raffinata eleganza. È interprete di una passione ed intrisa di vita vera.

La distanza tra il suo stile e quello del padre si acuì quando, nel 1612, fu costretta a trasferirsi a Firenze a causa dello scandalo suscitato dallo stupro perpetrato a suo danno da un collaboratore del padre, episodio che segnò in maniera decisiva la sua carriera artistica, l’espressione e la passione di cui le sue donne si sono fatte testimoni.

Emblema di quanto appena affermato è il quadro di Artemisia Gentileschi Susanna e i vecchioni, realizzato nel 1610 quando la pittrice aveva solo 17 anni. Per molto tempo l’autore di quest’opera rimase in dubbio: si pensò che fosse stata fatta dal padre Orazio solo per farsi vanto della bravura della figlia, ma le teorie a riguardo sono state tutte confutate a vantaggio della pittrice.

D’altronde non poteva essere altrimenti: basti pensare all’espressione carica di odio, sdegno e disgusto di Susanna che con le mani e con tutta la carica espressiva del corpo in torsione respinge energicamente i vecchioni, colti in flagrante dalla pittrice durante la molestia.

Non è un caso che l’artista rappresenti il momento topico della storia biblica: è questo uno dei suoi tratti distintivi, possiamo parlare quasi di un elemento stilistico che caratterizza il suo operato. L’intento è quello di suscitare la passione descrittiva, di far vivere e durare il momento narrativo.

Non sono un caso nemmeno le fattezze di uno dei vecchioni: con capelli e barba troppo scuri per essere quelli di un vecchio, si pensa infatti che sia un riferimento ad Agostino Tassi, collaboratore del padre, che due anni più tardi avrebbe stuprato Artemisia. Sebbene lo stupro non fosse ancora accaduto, è molto probabile che l’uomo già molestasse la giovane.

Lo sfondo è quasi annullato a favore della scena e dei personaggi, la cui disposizione piramidale è un espediente attraverso il quale la pittrice focalizza l’attenzione sulla sua grande eroina. La pelle è candida, ma la figura è scomposta e sottolinea con quanta forza e vigore si opponga a ciò che sta accadendo. Un lembo di stoffa le copre a stento la gamba, seguendola nella torsione, ma ella non si preoccupa di null’altro se non di allontanare come può i vecchioni che volevano importunarla.

È facile notare la quasi completa assenza dei chiaroscuri che diventerà elemento pregnante dell’opera artistica di Artemisia Gentileschi sulla scia dei dogmi caravaggeschi, chiaroscuri che ritroviamo, infatti, in una versione posteriore del quadro.

Molto diversa appare l’altra realizzazione datata 1622 e conservata in una collezione privata a Stanford, in Inghilterra. Il dramma è palpabile: sebbene l’espressione di Susanna sia più composta rispetto alla precedente versione dell’opera, il disgusto e l’orrore si fanno spazio su un volto che appare quasi rassegnato. L’accettazione di quello che sta per accadere deriva dalla consapevolezza di non voler cedere al ricatto. La pelle della donna appare più rosea e vivida della prima realizzazione e i dettagli del corpo nudo, di chiara ispirazione caravaggesca, conferiscono una potenza descrittiva senza eguali.

Il momento raccontato è il medesimo della precedente versione dell’opera, il pathos resta inalterato ma la scena è quasi angustiante a causa della presenza permeante dei chiaroscuri. Lo sfondo si intravede soltanto, le nuvole bianche e nere incrementano la tensione e la disarmante drammaticità dell’attimo che sembra sospeso nella bellezza del contesto.

Il putto finemente riprodotto è l’unico elemento che distrae dai tre protagonisti, i quali non sono più disposti in maniera piramidale, ma posti l’uno sull’altro, quasi a scaletta: il risultato è lo stesso, anche in questo caso Susanna è protagonista indiscussa della scena.

La biografa francese di Artemisia Gentileschi, Alexandra Lapierre, afferma: «Nelle eroine di carne e sangue di Artemisia il padre non ritrova la minima aspirazione, neanche il più piccolo slancio divino. Nei santi e nei martiri dipinti da Artemisia non c’è senso del sacro, non c’è traccia di misticismo». Non sante né martiri, nessuna sottomissione, nessun rammarico traspare dalle opere di Artemisia Gentileschi, solo il puro e profondo amore verso l’universo femminile dal quale e nel quale ella trae le sue donne, le sue eroine.

La Redazione

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