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Maschere, gonfiabili e unicorni, non è una festa di piazza è un messaggio politico

Dai gonfiabili di Operation Inflation alle piazze italiane. Quando la protesta parla il linguaggio dell’immaginario.

Ultimamente, nelle manifestazioni, siamo soliti scorgere — oltre alle consuete flotte di persone con striscioni e cartelli — anche mascotte come unicorni, rane, Pikachu etc.
Molte volte abbiamo stropicciato gli occhi per capire se ciò che vedevamo fosse reale o frutto dell’immaginazione. E invece sì, c’erano davvero. Ma perché?

Il più grande atto di resistenza all’oscurità è la gioia radicale.
È il motto di Operation Inflation, un collettivo nato nel 2024 che distribuisce gratuitamente costumi gonfiabili ai manifestanti. Non è una semplice performance artistica, ma una vera e propria strategia semiotica che punta a restituire alla piazza il potere autentico dell’immaginazione.
Là dove il potere impone paura e uniformità, i corpi rispondono con il gioco e con l’ironia, trasformando la protesta in linguaggio visivo.

I dinosauri e gli unicorni che sfilano contro Trump o contro i regimi dell’ordine simbolico non nascondono i manifestanti, li trasformano in figure archetipiche di libertà.
Un agente federale in tenuta antisommossa che si trova di fronte un unicorno danzante non può più interpretare il copione della violenza. E la scena si ribalta, il potere perde la postura e l’ordine si trasforma in teatro.

Ogni protesta, oggi, è anche un’immagine da condividere.
Il corpo in strada diventa un corpo mediale, che comunica più delle parole.
In questa politica dell’attenzione, non vince chi urla più forte, ma chi riesce a creare simboli che restano. I costumi gonfiabili, i meme e le icone pop compongono l’alfabeto di questa nuova lingua.

Anche le piazze italiane stanno imparando questa grammatica.
Nel 2024 la mucca gonfiabile Ercolina II, portata dagli allevatori in protesta contro le politiche agricole europee, è diventata un simbolo mediatico capace di oscurare qualsiasi bandiera.
E nelle piazze per Gaza si sono visti volti pop, maschere di anime e supereroi, immagini che parlano più dei manifesti stessi. 

Chi si sarebbe mai aspettato di vedere un unicorno fermarsi davanti a un cordone di celerini?
E quali celerini, davvero, caricherebbero una folla che ha al centro un unicorno?
L’immagine è surreale, ma dice la verità, l’unicorno è il simbolo del sogno, la creatura che unisce ordine e immaginario.  Di fronte ai corpi uniformati, rappresenta l’imprevisto, il colore e perché no, l’eccesso. Rappresenta l’antitesi del comando, la forza dell’immaginazione contro la forza dell’imposizione.

Nel tempo dei sovrani algoritmici e dei miti digitali, l’unica rivoluzione possibile resta solo quella estetica. Resistere significa continuare a inventare, con altri corpi, altre creature e altre regole ma soprattutto, con una gioia che non si lascia addomesticare.
Perché nulla disarma l’autorità più di un sorriso inaspettato, nascosto dietro una maschera gonfiabile.

Serena Parascandolo

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Serena Parascandolo

Serena Parascandolo, classe ’89, napulegna cresciuta tra vicoli, sottoculture di locali underground e sogni infranti. Scrivo di moda, politica e sottoculture con una penna affilata e un cuore malinconico e sorridente, come un ossimoro. Femminista, queer, terrona, mamma. Studio e imparo ancora, perché la strada è lunga e il mondo troppo complicato per accontentarsi. La mia scrittura prova a essere un atto d’amore e una piccola rivolta.
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