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Difendere la democrazia significa difendere le azioni ed i pensieri altrui quanto più son distanti dai nostri

Da abitanti di una società democratica che ha l’obbligo morale e giuridico di difendere il dibattito interno e la libertà d’espressione, siamo chiamati all’azione di tolleranza ed inclusione anche delle idee più distanti dalle nostre, soprattutto in questa fase storica: viviamo nell’epoca dell’estrema polarizzazione ideologica, politica e culturale, pure accentuata dal clima di tensione figlio della crisi economica, sociale e di sicurezza che appare crescente.

Di conseguenza, status quo della quotidianità, certezze ataviche e privilegi interiorizzati vengono intaccati non per uno stravolgimento imposto da autorità o componenti verticistiche, bensì dall’evoluzione della vita stessa: nessuno è più sicuro di mantenere quel che storicamente gli è appartenuto, in un momento di incertezza comune. Quest’ultima, mentre sembra destinata ancora a diffondersi, viene accompagnata da cambiamenti profondi e rapidi che hanno reso irrinunciabile una riformulazione del concetto stesso di relazione sociale, condivisione di beni comuni, diffusione di opportunità e possibilità. Il processo descritto – tale da far progressivamente assumere una connotazione sempre più incentrata sul principio della collettività al dibattito pubblico – non è esente dal verificarsi di un confronto acceso in società.

INVALIDAZIONE ALTRUI COME APRIPISTA DEL SEPARATISMO

Purtroppo, esso è spesso contraddistinto da una retorica – figlia anche di schemi difensivi interiorizzati che preludono l’ascolto attivo ed il rispetto – basata sulla promozione dello scontro, sulla malsana convinzione di dover affrontare una “lotta” in cui sia imprescindibile prevalere sulla visione altrui in ogni discussione o dove l’idea dell’altro, ancor peggio, è aprioristicamente invalidata. Servirebbe una concezione del dialogo che si basi su un approccio maggiormente comunitario nello svolgimento del dibattito stesso, e non solo nel produrne i risultati. Se tutti ragionassero proponendo lo sguardo e la parola verso una condizione esterna e non solo personale, comprenderebbero meglio la visione altrui e questo processo si semplificherebbe. Una società in cui l’opinione differente – che sarebbe da considerarsi arricchente e non per principio fautrice di separatismo o creatrice della distanza – viene ascoltata con l’obiettivo di integrarla in una visione collettiva, prima ancora che essa abbia eventualmente un seguito effettivo, è una sfida abnorme ma potenzialmente capace di valorizzare davvero il pensiero altrui. È qui che si creano le premesse per mitigare il fenomeno della marginalizzazione che si ripercuote ed assedia la quotidianità societaria anche perché è generato da una profonda invalidazione ideologica e concettuale, ancor prima che pratica, dell’altrui esigenza e visione. Questo è un errore invalidante se commesso in primis per noi stesso, e non solo per la società. Non tutti possediamo le conoscenze accademiche, da autodidattiche o di studio generale per comprendere nella loro profondità i concetti sociologici che contraddistinguono il cambiamento che stiamo attraversando.

LA CONSAPEVOLEZZA È UN’ARMA COMUNE

Tuttavia, una visione che si distacchi solo dalla concezione personale ed offra una sguardo più ampio permette il ritrovo di una metaforica arma: quella della consapevolezza. Essa offre l’opportunità di capire l’entità del cambiamento che affrontiamo nella sua forma ed essenza, se non nei contenuti specifici, consentendo di validare nel profondo quel che pure ci appare distante, secondo un principio di tolleranza che funga da apripista per l’inclusione. Includere non significa mostrarsi accoglienti o falsamente disponibili ad accettare ciò che in realtà avversiamo o disconosciamo (quello è un inganno), bensì decostruire autenticamente ciò che impedisce la rimozione della corazza di supponenza e prosopopea che abbiamo posseduto, potendo così validare nel profondo anche una visione opposta e differente da quella che esponiamo noi. Ci stiamo riferendo, con questo pensiero, al sale del confronto civile e democratico e non ad una utopia velleitaria. Raggiungere un simile obbiettivo non è solo importante, è possibile. Compiere il processo descritto non impone la modifica delle proprie idee o l’appiattimento su quelle altrui, piuttosto assicura il rispetto e garantisce la civiltà nell’esposizione del dibattito pubblico. Spetta, paradossalmente, compiere ad ogni singolo individuo un gesto che è nei fatti profondamente collettivo. Ognuno di noi nella difficoltà ed in un momento di innegabile incertezza sta ricevendo dunque un dono: può sfruttare la metamorfosi sociale in corso quale opportunità per stravolgere ciò che aveva interiorizzato e fino ad oggi – pur inconsciamente – gli ha impedito di rapportarsi al meglio in un contesto comune, comprendendo fenomeni sempre più collettivi. Potremmo riuscire a compiere una piccola grande rivoluzione impegnandoci in tal senso e, soprattutto, a creare delle premesse per essere parte integrante del cambiamento sociale in essere, che è poi il cambiamento anche di noi stessi.

Tommaso Alessandro De Filippo

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Tommaso Alessandro De Filippo

Napoletano, classe 2000, laurea in Scienze della Comunicazione. 25 anni, decisamente pochi per conoscere il mondo ma abbastanza per sognare di capirlo, viverlo e, nel frattempo, provare a studiarne ogni dinamica. Ritengo non si possa focalizzare lo sguardo solo sui confini interni al proprio Paese ma sia fondamentale guardare anche e soprattutto all’estero ed a tutto il resto del pianeta che circonda, condiziona ed influenza le nostre vite quotidiane. È da questo pensiero che si è strutturata la mia passione per la politica estera, che su La Testata provo ad intersecare con la scrittura delle storie, presenti e passate, della mia città o di questa società malsana che abitiamo e dobbiamo tutti provare a cambiare in meglio. Leggetemi, se volete. Mi aiuterà a sentirmi apprezzato e validato. Criticatemi, se potete. Mi aiuterà a migliorare, per me stesso e la collettività.
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