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Storie di depressione: quando l’anima ha bisogno di primavera

La depressione è come il buio dell’inverno interiore. Ma dopo l’inverno, si prepara il terreno per la primavera.

Immagina di svegliarti ogni mattina con un mantello di piombo sulle spalle. Non si vede, ma pesa. Non fa rumore, ma assorda. Non ha odore, ma offusca ogni profumo della vita. Questo è ciò che milioni di persone nel mondo sperimentano ogni giorno: la depressione, una compagna di viaggio che nessuno ha mai invitato ma che si presenta ugualmente, spesso senza bussare.

La depressione non è semplicemente “essere tristi”: colpisce circa 280 milioni di persone nel mondo, e in Italia ne soffre circa 6% della popolazione adulta. Tra le donne nella fascia 20-45 anni, la prevalenza è significativamente più alta, ma non perché le donne siano “più deboli”, anzi, spesso sono proprio loro a reggere il peso di molteplici ruoli sociali, professionali e familiari.

QUANDO WINSTON CHURCHILL INCONTRA SYLVIA PLATH

«Ho sempre sofferto di quello che chiamo il “cane nero” della depressione», confessava Winston Churchill. Dall’altra parte dell’oceano e del tempo, Sylvia Plath descriveva la sua esperienza come essere «sepolta sotto una campana di vetro». Due epoche, due personalità completamente diverse, eppure la stessa lotta interiore.

La depressione non guarda in faccia nessuno: ha toccato Virginia Woolf, che ci ha regalato pagine di una bellezza straziante prima di arrendersi al Tamigi; Frida Kahlo, che ha trasformato il suo dolore in arte rivoluzionaria; e più recentemente, Kristen Bell e Demi Lovato, che hanno avuto il coraggio di parlarne pubblicamente, contribuendo a rompere quel muro di silenzio che, per troppo tempo, ha circondato questo disturbo.

IL LINGUAGGIO SCIENTIFICO DELL’ANIMA IN PANNE

Dal punto di vista clinico, quello che chiamiamo “depressione” comprende in realtà un universo di sfumature. Il DSM-5 (il “manuale di istruzioni” per psicologi e psichiatri) distingue tra episodi depressivi maggiori, disturbi depressivi persistenti e altre forme più specifiche. La diagnosi richiede la presenza di almeno cinque sintomi per un periodo minimo di due settimane, tra cui umore depresso, perdita di interesse, cambiamenti nell’appetito e nel sonno, senso di fatica e difficoltà di concentrazione.

Ma la depressione non è solo un elenco di sintomi su una checklist: è un’esperienza soggettiva profondamente radicata nel nostro modo di stare al mondo, nelle nostre relazioni, nella nostra storia familiare e sociale.

LE RADICI INVISIBILI: QUANDO LA FAMIGLIA “PARLA” PER NOI

Ok, ma dove nasce la depressione?

Dal mio punto di vista, ossia quello sistemico-relazionale, la depressione raramente è un evento isolato che capita per caso a una persona. Spesso emerge come sintomo di dinamiche familiari complesse, tramandate di generazione in generazione come un’eredità silenziosa.

Pensiamo alle famiglie dove “non si parla mai dei problemi”, dove le emozioni negative vengono sistematicamente evitate o minimizzate. In questi contesti, la depressione può diventare l’unico linguaggio possibile per esprimere una sofferenza che non trova altre vie di espressione. È come se la persona depressa diventasse il “paziente designato” di un sistema familiare che, nel suo insieme, sta attraversando una crisi.

Spesso noto che dietro una depressione femminile si nasconde una storia di donne che, nella famiglia di origine, hanno sempre messo i bisogni degli altri prima dei propri, creando un modello relazionale che si perpetua nelle generazioni successive.

LO STIGMA: QUEL GIUDICE IMPLACABILE CHE SUSSURRA ALL’ORECCHIO

“Devi solo pensare positivo”, “Altri stanno peggio di te”, “È solo una fase” … Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Lo stigma sulla depressione è forse uno degli aspetti più dolorosi da affrontare. È come se alla sofferenza si aggiungesse anche la colpa di soffrire.

Viviamo in una società che celebra la performance, la produttività, l’essere sempre “on”. In questo contesto, ammettere di essere depressi può sembrare un fallimento personale. Soprattutto per le donne, che spesso si sentono in dovere di essere madri, partner, professioniste, figlie e amiche perfette… ovviamente, tutto contemporaneamente.

Il paradosso è che più nascondiamo la depressione, più lei si rafforza. È come tenere un segreto che diventa sempre più pesante da portare, fino a quando non diventa l’unica cosa di cui riusciamo a pensare, anche se non ne parliamo mai.

CINEMA, ARTE E LETTERATURA: QUANDO LA DEPRESSIONE DIVENTA BELLEZZA

La cultura popolare ha spesso rappresentato la depressione attraverso lenti diverse, non sempre accurate ma talvolta illuminanti. 

Film come Melancholia di Lars von Trier o Inside Out della Pixar hanno tentato di visualizzare stati d’animo altrimenti difficili da descrivere.

Edward Hopper, con i suoi dipinti di solitudini urbane, ha catturato quella sensazione di isolamento anche in mezzo alla folla che caratterizza molte esperienze depressive. I suoi personaggi, spesso donne sole in caffè deserti o stanze illuminate da luci fredde, sembrano incarnare quella disconnessione dal mondo che la depressione porta con sé.

La bellezza, a volte, nasce proprio dalla capacità di trasformare il dolore in qualcosa di universalmente riconoscibile, che ci fa sentire meno soli nella nostra esperienza.

LA TERAPIA: RICOSTRUIRE PONTI VERSO IL MONDO

Il trattamento della depressione non è mai a senso unico. La terapia sistemico-relazionale si concentra non solo sul sintomo individuale, ma sull’intera rete di relazioni in cui la persona è inserita.

È utile portare nella stanza di terapia le coppie o le famiglie, perché la depressione di un membro influenza inevitabilmente tutto il sistema. È come quando in un’orchestra uno strumento va fuori tempo: bisogna ritrovare l’armonia dell’insieme, non solo “aggiustare” il ritmo di quello strumento.

Molte donne che arrivano in terapia per depressione in realtà stanno attraversando momenti di grandi cambiamenti: maternità, separazioni, perdita dei genitori, cambiamenti lavorativi… La depressione, in questi casi, può essere vista anche come un segnale che qualcosa nel sistema di vita deve essere riorganizzato.

PREVENZIONE: PICCOLI GESTI PER GRANDI CAMBIAMENTI

La prevenzione della depressione non è fatta di grandi gesti eroici, ma di piccole attenzioni quotidiane. Mantenere connessioni sociali significative, praticare attività fisica regolare, dormire a sufficienza e sviluppare consapevolezza emotiva sono tutti fattori protettivi.

Ma, forse, il gesto più rivoluzionario è permetterci di essere vulnerabili, di ammettere che non stiamo sempre bene, che non dobbiamo sempre essere “forti”. Per le donne, questo significa spesso ridiscutere il proprio ruolo di caregiver universale e imparare a prendersi cura anche di sé stesse.

UN ATTO CORAGGIOSO

Se c’è una cosa che ho imparato nel lavoro clinico, è che chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma il primo atto di coraggio verso la guarigione

La depressione ci sussurra che siamo soli, che nessuno può capirci, che non vale la pena provare. Ma la verità è che dall’altra parte del telefono o dietro la porta di uno studio professionale, c’è sempre qualcuno pronto ad accogliere quella sofferenza e trasformarla in possibilità di cambiamento.

La depressione non è una condanna a vita, ma una fase del lungo viaggio. E, come ogni viaggio che si rispetti, è più facile affrontarlo con una mappa e qualcuno che ci faccia strada lungo il cammino.

Se riconosci in queste righe qualcosa della tua esperienza o di quella di qualcuno che ami, ricorda: non sei solə. Tutti meritiamo di ritrovare la primavera della vita, anche quando vivi l’inverno interiore. 

Elisabetta Carbone

Illustrazione di Sonia Giampaolo 

Elisabetta Carbone

Elisabetta Carbone è psicologa clinica e sessuologa con orientamento sistemico-relazionale. Si occupa di relazioni, identità, narrazioni individuali e familiari, con uno sguardo attento alle dinamiche culturali e sociali che attraversano la psiche. Fondatrice dello studio Oikos, scrive di salute mentale con un linguaggio accessibile ma rigoroso, costruendo ponti tra psicologia e società. Vegetariana convinta, non fa un passo senza Teo, il suo inseparabile compagno a quattro zampe.
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