La flotta che sfida il blocco e Greta Thunberg a bordo della speranza

Il Mediterraneo, da sempre teatro di partenze e naufragi, questa volta racconta un’altra storia. Una storia di resistenza civile, di coraggio e di disobbedienza. Greta Thunberg è nuovamente protagonista.
La Global Sumud Flotilla, la più grande missione via mare mai organizzata verso Gaza, ha issato le vele per rompere l’assedio che da diciassette anni imprigiona oltre due milioni di persone. Tra gli attivisti c’è anche Greta Thunberg, simbolo della lotta climatica, oggi intreccia la sua battaglia con quella per i diritti umani, scegliendo di condividere i rischi di un viaggio che è prima di tutto un atto politico.
Le ombre sul porto di Tunisi
Poche ore dopo l’attracco a Sidi Bou Said, due imbarcazioni sono state colpite da misteriosi incendi. Gli organizzatori parlano di droni, le autorità tunisine smentiscono e parlano di guasti tecnici. Nessun ferito, ma il messaggio è chiaro: qualcuno non vuole che la flotta raggiunga Gaza. Eppure, nonostante la tensione crescente, le barche hanno deciso di riprendere il largo.
Greta Thunberg, un atto politico oltre l’aiuto umanitario
Non è solo cibo o medicine ciò che viaggia su queste navi: è un messaggio. Rompere l’assedio significa denunciare un crimine che dura da troppo tempo e riportare l’attenzione internazionale su Gaza, oggi ridotta a una prigione a cielo aperto.
La presenza di Greta Thunberg moltiplica la portata simbolica dell’iniziativa. La giovane attivista, che a soli 15 anni aveva iniziato a scioperare davanti al parlamento svedese per chiedere azioni concrete contro la crisi climatica, oggi sceglie di esporsi anche su uno dei conflitti più divisivi e complessi del nostro tempo, assumendosi il rischio di critiche e strumentalizzazioni varie.
La sua decisione di imbarcarsi non è solo testimonianza ma mostrare che il diritto alla vita, alla dignità e alla libertà non può essere separato dalla lotta contro la devastazione ambientale. Per Greta Thunberg, Gaza diventa il simbolo di un’ingiustizia che non riguarda soltanto un popolo, ma il fallimento di una comunità internazionale incapace di difendere i principi su cui è nata.
Questa scelta segna anche una maturazione del suo attivismo: Greta Thunberg non è più soltanto la ragazza dei cartelli e degli slogan, ma una figura che sa trasformare il suo capitale simbolico in pressione politica globale. Portare il suo nome e la sua immagine dentro la Flotilla significa far sapere al mondo che la questione palestinese non è confinata a un conflitto regionale, ma fa parte della grande mappa delle ingiustizie del XXI secolo.
Quando legge e attivismo si incontrano
Francesca Albanese, giurista italiana e relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, è diventata negli ultimi tempi una delle voci più ascoltate – e più attaccate – sul tema di Gaza. Nei suoi rapporti all’ONU ha definito il blocco una punizione collettiva contraria alle Convenzioni di Ginevra e, più di recente, ha parlato di un passaggio “dall’economia dell’occupazione a quella del genocidio”. Parole nette che le sono costate sanzioni personali da parte degli Stati Uniti e accuse di parzialità da parte del governo israeliano, ma che hanno consolidato la sua immagine di osservatrice indipendente, capace di dire ciò che molti diplomatici tacciono.
Proprio a Tunisi, poche ore dopo l’incendio che ha colpito una delle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, Albanese ha raggiunto il porto di Sidi Bou Saïd per incontrare Greta Thunberg e gli altri attivisti. Le immagini del loro abbraccio hanno fatto il giro del mondo, due figure diversissime per età, storia e ruolo, unite da una rotta comune. L’una con la forza del diritto internazionale, l’altra con la potenza mediatica di un’attivista capace di mobilitare milioni di giovani.
L’esito della rotta e l’impegno costante
L’incontro tra Francesca Albanese e Greta Thunberg consegna al mondo un’immagine forte: la giurista che traduce in linguaggio giuridico le violazioni del blocco e la giovane attivista che le rilancia nello spazio pubblico globale. Insieme trasformano la flottiglia da semplice missione umanitaria a dichiarazione politica, capace di intrecciare legalità internazionale e coscienza collettiva.

Riusciranno le barche a raggiungere la Striscia o verranno fermate prima? L’esito è incerto, ma il significato del viaggio è già inciso nella cronaca. Il Mediterraneo racconta oggi di una sfida che lega giovani attivisti, giuristi internazionali, marinai e volontari di tutto il mondo in un’unica rotta quella della libertà e della giustizia.
Serena Parascandolo
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