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Il capitalismo che monetizza le insicurezze delle donne (e ci fa pure la morale)

La misoginia e il sessismo sono meccanismi economici che generano milioni di euro mercificando i corpi femminili. Questo era palese prima ancora che venisse alla luce il fatturato del 45enne di Pompei al vertice del sito phica.eu.

Ma non sono soltanto i nostri corpi ad essere tradotti in merce, e non tutti i rituali di mercificazione hanno una matrice criminale.

Il mercato capitalistico, per esempio, monetizza le insicurezze delle donne in maniera trasparente e assolutamente legale. Soprattutto, lo fa vendendoci l’illusione di avere il pieno controllo sulle nostre azioni.  

Nell’interessantissimo saggio Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo, Laurie Penny, giornalista e scrittrice britannica, nonché esperta in gender studies, scrive: “Ogni giorno, carne femminile sul banco del capitalismo. Veniamo bombardate da migliaia e migliaia di messaggi che ci informano, più o meno apertamente attraverso film, tv, pubblicità e carta stampata, che non siamo abbastanza giovani, snelle, bianche e disponibili. E non c’è tregua. Siamo imprigionate in rituali di consumo e autodisciplina che sostengono un mercato globale saturo di prodotti di bellezza, dimagranti, per la cura personale… ci ordinano di apparire sempre sicure e sessualmente disponibili ma veniamo mortificate e ostracizzate se mostriamo orgoglio, ambizione o qualsiasi tipo di desiderio erotico”.

Così viviamo intrappolate in una terra di mezzo che cancella il nostro essere, le nostre differenze e la nostra personalità. La terra delle inibizioni e del castigo, del pudore che è sempre troppo o troppo poco, da un lato le suore e dall’altro le poco di buono. La terra fertile abbastanza affinché le insicurezze mettano radici e ci rendano perfette per il mercato. Perché una donna che si odia acquisterà qualunque cosa le prometta di diventare accettabile agli occhi altrui. 

Crediamo di essere padrone dei nostri soldi e consapevoli del modo in cui li spendiamo. Quante volte ci siamo illuse di scegliere liberamente  e di desiderare quel body modellante o quella crema viso per “prenderci cura di noi”? Ma la verità è che le nostre insicurezze vengono meticolosamente costruite per poterne trarre profitto. 

La televisione, per esempio, ha costruito per anni un’immagine molto precisa delle donne, e lo ha fatto a partire da prodotti culturali pensati per bambine e adolescenti. Quante sono le serie TV e i programmi dell’infanzia che a rivederli oggi ci lascerebbero solo tanta delusione? Pensiamo alla serie statunitense Zoey 101. Quanto ci hanno fatto divertire le avventure di Zoey e delle sue amiche? Eppure tra una risata e l’altra, Lola e Zoey si passavano una torta al cioccolato nella speranza che l’altra fosse più “debole” (testuali parole) e accettasse di consumare le “migliaia di calorie” al posto dell’amica. Pensiamo a film come Mean Girls, in cui la popolarità a scuola era direttamente proporzionale alla perdita di peso. Alla famosa scena nella sitcom Friends in cui Chandler rimane a bocca aperta dopo aver scoperto che la “sorella grassa” del suo migliore amico ha perso peso. In tutta risposta, Monica si mostra soddisfatta nel suo revenge dress aderente che finalmente attira lo sguardo del ragazzo, dopo essere stata umiliata l’anno precedente per il suo aspetto fisico. 

Non è soltanto un modo per dettare legge sui corpi femminili. È anche una narrazione che ci insegna che il modo migliore per vendicarsi degli insulti grassofobici di un uomo è diventare perfetta per i suoi occhi e appetibile secondo i suoi standard.

Il senso di colpa, la propensione all’auto-controllo, l’atteggiamento iper-giudicante verso sé stesse sono stati raccontati per anni come caratteristiche tutte femminili: biologiche, connaturate al nostro essere. In realtà ci hanno insegnato ad esserlo sin da bambine, a partire dall’intrattenimento senza impegno ed apparentemente innocuo. 

Questo è quello che Laurie Penny nel saggio Meat market definisce “un disprezzo ben orchestrato” alimentato dalla nostra società nei confronti della carne femminile allo scopo di mercificare questo odio verso noi stesse. 

Il corpo femminile, afferma la giornalista, è sempre stato punito e tenuto sotto controllo. In tutta risposta, per riuscire ad adeguarsi ai modelli ideali stabiliti da televisione, film, pubblicità e carta stampata, le donne sono spinte ad acquistare qualsiasi prodotto gli prometta di avvicinarsi al traguardo. 

“Vi è un legame antico, una sorta di cordone ombelicale tra capitalismo e società patriarcale.”

Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo

Così parte la corsa al consumismo e la produzione di prodotti di bellezza completamente inutili, che magicamente ci rendono consapevoli di difetti che prima neanche consideravamo tali. Tra gli esempi più recenti – che forse vi siete persi distratti dall’inizio delle vacanze estive – è la fascia viso modellante andata sold out in meno di 24 ore, lanciata da Skims, il brand di Kim Kardashian, con la promessa di eliminare il doppio mento e scolpire gli zigomi.  

Non è passata inosservata nemmeno la maschera intima lenitiva per la vulva, lanciata da chi se non da Belén Rodríguez, da tutti riconosciuta come la donna padrona del proprio corpo che rivendica la libertà della sua sessualità. La testimonial perfetta per raccontare questo nuovo prodotto beauty come un modo per gridare l’esistenza delle proprie parti intime e liberarle dal tabù del silenzio. L’efficacia o meno di questo e altri prodotti simili non è importante. Ciò che conta è che è impossibile negare che queste trovate di marketing contribuiscano a costruire e mercificare nuove insicurezze, decidendo quali devono aggiungersi alla donna del 2025. 

L’altra faccia della medaglia: l’impatto delle donne sulle economie globali e il potere taciuto

Nel mercato capitalistico le donne sono sia consumatrici che consumate, ma c’è un risvolto della medaglia di cui si parla solo a bassa voce: le donne acquistano più dell’80% dei prodotti venduti nei paesi sviluppati e questo fa di loro un motore vitale per il consumo.

Come riportato dal media indipendente The Period: “Se domani tutte le donne si svegliassero sentendosi a proprio agio e potenti nei loro corpi, le economie del globo collasserebbero nel giro di 24 ore”.

“Le economie moderne devono dunque la loro sopravvivenza al lavoro retribuito e non retribuito delle donne, al loro potere d’acquisto e alla loro capacità riproduttiva. Ma che le donne abbiano un tale potere non è permesso; il rischio di rivolta è troppo alto. Se la società consumistica deve continuare ad esistere nel modo in cui è esistita finora, è essenziale che questo potere latente sia messo sotto controllo, addomesticato e ammansito”

Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo

Come? Rendendoci inconsapevoli, insicure, discrete, obbedienti. Nel suo saggio, Laurie Penny analizza diversi ambiti in cui si palesa l’azione capitalistica sul corpo femminile, tra cui il sesso e le diete: “Non solo si cerca di smembrare il corpo femminile per renderlo meglio corrispondente ad un ideale erotico totalmente maschile ma, dove non vi si riesce, si tenta di obbligarlo a non occupare spazio. Le diete assolvono proprio a questa funzione, i disturbi alimentari sono una perversione di questo obiettivo finale […] La paura della carne è la paura del potere delle donne”.   

Così dicendo, Laurie Penny avanza una correlazione tra lo spazio fisico occupato concretamente dai corpi delle donne e il potere che esse detengono. Il modo per arginare questa paura sarebbe proprio quello di convincere le donne a dimagrire, a farsi piccole per occupare meno spazio (non si tratta evidentemente solo di imporre canoni estetici, ma di una questione più profonda che ha a che vedere con l’ansia patriarcale di perdere il controllo). Emblematica è una frazione del saggio che afferma: “i tre quarti delle donne dei paesi in cui il cibo abbonda patiscono ogni giorno la fame nello sforzo di occupare meno spazio possibile”.

Nelle conclusioni del saggio però, la scrittrice ci parla della possibilità (intesa in termini di capacità di azione, non di supposizione astratta) di invertire questa tendenza.

La strada è solo una: imparare a dire di “no”. 

“No, non saremo schiave. No, non ci accontenteremo del lavoro sottopagato sporco o non retribuito. No, non rimarremo in ufficio fino a tardi per poi occuparci dei figli e della spesa. […] No, non saremo belle, non saremo brave. E soprattutto ci rifiutiamo di essere belle e brave”

Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo

Rifiutiamo i vostri prodotti di bellezza, perché quella che chiamate bellezza è in realtà sottomissione e costrizione.

Ci riprendiamo il nostro corpo. Che è corpo, non carne. 

Simona Settembrini

Leggi anche: Phica.eu, il patriarcato digitale che ha truffato tuttə

Immagine realizzata con AI



Simona Settembrini

Simona Settembrini, classe 2001, laureata in “Culture Digitali e della Comunicazione”. Per descrivermi al meglio, direi che l’amore, in qualunque sua forma, è sempre al primo posto nella mia vita. Scrivo perché mi aiuta a rendere il mondo meno confuso e per mettere nero su bianco le mie emozioni e quelle degli altri, perché in fondo sono tutte uguali.
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