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Dopo 30 anni è stato sgomberato il centro sociale Leoncavallo

Con l’intervento delle forze dell’ordine si è proceduto allo sgombero del centro sociale più famoso della Milano politica e culturale, Leoncavallo.

Il 21 agosto 2025 Milano, ma l’Italia tutta ha assistito alla chiusura di una delle pagine più longeve e socialmente importanti degli ultimi 30 anni, il centro sociale Leoncavallo. Dopo varie occupazioni, tentativi di sgombero, un contenzioso giudiziario, nella mattinata di ieri le forze dell’ordine hanno dato esecuzione al provvedimento di sfratto.

Il centro sociale Leoncavallo dalle origini

Sorto nel 1975 il centro sociale Leoncavallo è da sempre autogestito; il nome ha origine dalla via in cui sorgeva – ed è rimasto tale anche dopo vari trasferimenti. Si è distinto fin da subito per la sua vocazione politica e culturale, divenendo negli anni un vero e proprio punto di riferimento per concerti, dibattiti politici, spettacoli teatrali, mobilitazioni e iniziative sociali.

A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso il centro sociale Leoncavallo è stato simbolo del movimento dei centri sociali in Italia: lo stivale richiedeva aree pubbliche autogestite e lottava contro la privatizzazione urbana e i giovani, emarginati dalla società, ritrovavano nel centro sociale un ambiente di confort dove poter esprimersi liberamente, dove poter avere sostegno, aiuto.

L’apertura verso i giovani e alle loro problematiche rese la presenza del centro sociale Leoncavallo non solo utile ma necessaria: all’interno venivano offerti gratuitamente laboratorio collettivi, assistenza sociale e tanta, tanta arte. Con la nascita del collettivo Helter Skelter divenne polo della musica indipendente grazie a concerti di artisti internazionali come Borghesia, Henry Rollins, Sonic Youth, palesandosi come non più solo un luogo fisico, ma come una rappresentazione viva dell’arte, una trasformazione delle culture giovanili e una lotta alla radicalizzazione.

centro sociale leoncavallo
Fonte: La storia del Leoncavallo: Helter Skelter

Sgombero, si o no?

Fondato nel 1975 il centro sociale Leoncavallo aveva sede in via Leoncavallo 22. L’immobile di appartenenza della famiglia Cabissi, venne sgomberato il 16 agosto 1989: l’operazione molto dura perpetrata dalla polizia suscitò varie proteste e pose le basi per una successiva rioccupazione e ricostruzione da parte degli attivisti. Dopo nuovi tentativi di sgombero, il centro sociale si sposta nuovamente in un immobile di proprietà della famiglia Cabissi, stavolta in via Antoine Watteau.

Anche stavolta il centro sociale Leoncavallo viene condannato allo sgombero; dopo ben 3milioni di euro di risarcimento per la famiglia proprietaria dell’immobile, il 21 agosto 2025 – dopo 130 rinvii nell’esecuzione dello sfratto – polizia e ufficiali giudiziarie hanno proceduto alla sgombero dell’immobile dopo ben 30 anni di occupazione. L’intervento segna la chiusura di uno stabile, ma segna la chiusura di uno dei centri sociale che ha fatto la storia e la politica di Milano.

Ma cosa rappresenta la chiusura del centro sociale Leoncavallo?

La chiusura del centro sociale Leoncavallo segna la fine di un’epoca, ma cos’altro c’è dietro questa azione? Lo sfratto va oltre Milano, raggiunge l’Italia e l’Europa intera: riaccende i riflettori sulla domanda – ancora aperta – sul ruolo degli spazi autogestiti nella società contemporanea.
Un edificio occupato illegalmente può essere simbolo di movimenti sociali, di resistenza? A quanto pare sì, ma se da una parte per molti rappresenta una sconfitta, per altri è la possibilità di voltare pagina e “una vittoria della legalità dopo decessi di abusi tollerati” (cit. Matteo Salvini).

Gli spazi autogestiti erano e ci auguriamo possano essere in futuro laboratori di innovazione sociale e culturale. In assenza di luoghi pubblici accessibili, il centro sociale Leoncavallo è l’esempio di offerta a chi resta ai margini delle istituzioni ufficiali: non solo trampolino per band, movimenti culturali e artisti, ma anche palestre di pratiche democratiche e dibatto politico.

Dal punto di vista della legalità i centri sociali come il centro sociale Leoncavallo resta uno spazio occupato illegalmente, in conflitto quindi con le autorità e i proprietari; la soluzione? Far sì che i centri sociali autogestiti vengano riconosciuti a pieno dalle istituzioni e dai progetti di politica urbana. Una metropoli senza luoghi di aggregazione rischia di essere ricca di grattacieli, ma al tempo stesso scarna di relazioni sociali e democrazia. I giovani, ma in realtà la società tutta, non ha bisogno di altri centri commerciali; abbiamo bisogno di spazi liberi, accessibili, dove l’espressione di sé sia libera da convenzioni e ostacoli sterili.

Antonietta Della Femina

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Antonietta Della Femina

Classe ’95; laureata in scienze giuridiche, è giornalista pubblicista. Ha imparato prima a leggere e scrivere e poi a parlare. Alcuni i riconoscimenti e le pubblicazioni, anche internazionali. Ripete a sé e al mondo: “meglio un uccello libero, che un re prigioniero”. L’arte è la sua fuga dal mondo.
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