Ingmar Bergman: l’inestimabile eredità del genio del cinema d’autore a 18 anni dalla sua scomparsa

Il cineasta svedese Ingmar Bergman ha regalato al cinema capolavori indimenticabili, venendo ricordato come uno dei maggiori registi della storia del cinema d’autore. Ripercorriamo insieme la sua carriera d’avanguardia:
Bergman nasce ad Uppsala nel 1918. Il conflittuale e opprimente rapporto con i genitori porta il giovane regista ad avvicinarsi al fantastico mondo del cinema, in cui trovò la sua principale fonte di espressione. A soli 18 si trasferisce lontano da casa, a Stoccolma, a stretto contato col mondo del teatro, diventando aiuto regista presso l’Opera Reale Svedese. Nel 1944 i suoi scritti vennero presto letti dal regista Gustaf Molander, che intravedendo in lui un grande potenziale insistette per tradurli in immagini, dando alla vita Spasimo, un potente attacco al regime nazista, che vincerà un premio al primo Festival di Cannes del secondo dopoguerra.
Il nome dell’autore svedese entra presto nell’olimpo del cinema d’avanguardia europeo, imponendo la propria personalissima visione e indagando la psicologia e i turbamenti dell’essere umano come mai nessuno prima, portando all’interno anche un pezzo di sé. I suoi primi successi negli anni Cinquanta sono strutturati con minuziosa attenzione, profondamente influenzati dalla scuola del naturalismo cinematografico svedese. Il film Un’estate d’amore, del 1951, segna il primo vero successo del cineasta. Egli stesso lo definì come il primo film in cui iniziò a sentirsi davvero in grado di esprimere le proprie emozioni, attraverso il carattere quasi autobiografico della vicenda.
Pochi anni dopo, nel 1957, le opere Il settimo sigillo e Il posto delle fragole lo consacrano al successo internazionale. Le forti allegorie e il simbolismo di Il posto delle fragole esprimono una profonda riflessione sulla vita e sul tempo, in un racconto sospeso tra realtà e dimensione onirica: il film ci parla di come i nostri rapporti con il prossimo divengano sempre più limitati ed insignificanti. Il protagonista della storia, il vecchio professor Isak Borg, ripensa alla propria esistenza amara, distaccato dalla famiglia e dagli affetti, decidendo di riconciliarsi con l’altro e superare la visione negativa della vita. La sequenza dell’incubo e del suo funerale, la potenza dell’immagine dell’orologio senza lancette, simboleggiano l’imminenza della morte e il rimpianto di occasioni ormai perdute. Il tema del tempo, della morte e dell’identità diventano presto il filo rosso che collega le opere di Bergman, rendendole un’acuta analisi della società, che dopo il secondo dopoguerra non riesce a ritrovare le proprie coordinate.
Gli anni Sessanta rappresentano l’inizio di una svolta sperimentale nelle opere del regista, agendo sulla sottrazione degli elementi nella scena, dei personaggi e dei dialoghi. Persona del 1966 si configura come l’opera stilisticamente più sperimentale: attraverso la storia di un’attrice che sceglie coscientemente di non parlare più e di un’infermiera che si apre completamente a lei, l’opera evidenzia le contraddizioni della psiche umana, le quali mettono in discussione l’identità e accentuano la forte sensazione di solitudine. Il tutto viene arricchito dall’essenzialità della messinscena e dei costumi, dal bianco e nero fortemente contrastato e dall’espressività dei volti e dei dialoghi, arricchendo un dramma intimo e profondamente umano.
L’innovazione delle opere di Bergman non sta solo nel suo personale modo di narrare una storia. La cosa che colpisce maggiormente lo spettatore in film come Persona sono le straordinarie soluzioni visive. Le surreali sequenze iniziali, apparentemente scollegate tra loro, sono caratterizzate da elementi di forte suggestione, volti a rappresentare l’inconscio della protagonista, profondamente turbato dal senso di colpa che la porterà a rinunciare alla parola. Il momento in cui la confusione finisce per creare una sovrapposizione delle identità delle due donne, vengono impiegate le tecniche dello split-screen e della sovrapposizione, un momento di destabilizzazione per lo spettatore, ma che rappresenta alla perfezione il punto di non ritorno nel rapporto tra le protagoniste.
Con il suo cinema, Ingmar Bergman porta sullo schermo l’anima e l’inconscio umani, mettendo in luce le contraddizioni del nostro essere, scoprendo le paure più profonde e ponendoci di fronte ad esse con estrema sincerità. A 18 anni dalla sua scomparsa, l’impatto del cinema bergmaniano è ancora fortemente presente, influendo sulla successiva narrazione sul tema del doppio e dell’identità in registi come David Lynch, Francis Ford Coppola e David Fincher. Le pellicole che meglio rappresentano l’eredità del cinema di Bergman nel contesto postmoderno sono film come Mulholland Drive e Fight Club, entrambi incentrati sulla scissione della personalità e il rapporto con i propri demoni dell’inconscio.
Ilaria Perris
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Photo credits: Ingmar Bergman (1918–2007), Swedish stage and film director. Photo: Taken during the production of Wild Strawberries (Smultronstället) (1957). Svensk Filmindustri (SF) press photo. Source: Svenska filministitutet.