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Le cose che il ciclo mestruale ci insegna – ma che nessuno ci ha mai spiegato

Mi ricordo un giorno quando, il professore di filosofia, chiese ad un mio compagno di classe: “Ma tu ci credi se ti dico che esiste un animale che sanguina 5 giorni di fila e non muore?”.

Ovviamente, le femmine sono scoppiate a ridere, i maschi sono rimasti titubanti.

Il ciclo mestruale ci rende degli animali (d’altronde, siamo mammiferi) che sanguinano ma non muoiono. È un grande mistero mensile.

Immagina che un alieno atterri sulla Terra con l’obiettivo di studiare la specie umana – probabilmente rimarrebbe perplesso davanti a un fenomeno curioso: circa la metà della popolazione terrestre vive un’esperienza ciclica, prevedibile e ricca di informazioni, eppure ne parla come se fosse l’argomento più imbarazzante immaginabile.

Il ciclo mestruale – quella cosa che ci succede una volta al mese e che spesso trattiamo come un ospite indesiderato – è in realtà uno dei sistemi di comunicazione più sofisticati del nostro corpo. È come avere un personal trainer, uno psicologo e un timer tutto in uno, ma che abbiamo imparato a silenziare perché “tanto è normale che faccia male” o “non se ne parla a tavola”. Ovviamente, i maschi non devono sapere.

Bene, è ora di rompere questo silenzio assordante. Perché se c’è una cosa che il femminismo ci ha insegnato, è che tutto ciò che riguarda il corpo delle donne diventa automaticamente un campo di battaglia politico. E il ciclo mestruale, con i suoi tabù millenari e la sua capacità di essere contemporaneamente universale e personalissimo, è forse il terreno più fertile per una rivoluzione silenziosa.

LE QUATTRO STAGIONI DEL NOSTRO CORPO

Iniziamo dalla prima stagione, la fase che tutti conoscono (o credono di conoscere): le mestruazioni. Sono circa 3-7 giorni in cui l’utero decide di fare un reset completo.

Dal punto di vista ormonale, siamo nel momento di massima “quiete” del ciclo – estrogeni e progesterone sono ai minimi storici, come dopo una festa particolarmente intensa. Ed è proprio in questo momento che molte donne riferiscono di sentirsi più introspettive, più sensibili, più inclini al riposo o anche al pianto.

Eppure, la società ci ha insegnato a combattere questa naturalezza.

Non puoi stare a casa dal lavoro per le mestruazioni, non sono una malattia. Le donne di una volta non si lamentavano così tanto”.

A dirla tutta, le donne di una volta avevano anche un’aspettativa di vita di 40 anni e morivano regolarmente di parto, ma questo non significa che dobbiamo prendere la loro esperienza come metro di paragone per la nostra qualità di vita…

Finita la mestruazione, inizia quella che potremmo chiamare la “fase ottimista” del ciclo: la fase follicolare. Gli estrogeni cominciano a risalire, e con loro torna quell’energia che ci fa pensare quasi invincibili.

È il momento in cui ci sentiamo più socievoli, più creative, più disposte alle novità. Non a caso, molte donne riferiscono di avere più voglia di uscire, di conoscere gente nuova, di iniziare progetti. Il nostro cervello è letteralmente più ricettivo alle nuove informazioni.

Non è una coincidenza biologica casuale: il nostro corpo si prepara all’ovulazione, momento in cui evolutivamente dovremmo essere più attraenti e attratte.

E quindi arriva lei, la terza fase: l’ovulazione. Quel momento magico in cui siamo al picco della nostra femminilità fertile, raggianti come dee dell’Olimpo… e di cui la maggior parte di noi non si accorge nemmeno.

Gli estrogeni raggiungono il loro apice, e con loro arriva quella sensazione di pienezza. In realtà durante l’ovulazione abbiamo effettivamente prestazioni cognitive migliori, siamo più persuasive e sì, anche più attraenti agli occhi degli altri.

È anche il momento in cui il desiderio sessuale raggiunge spesso il suo picco (il che ha perfettamente senso dal punto di vista evolutivo, ma che spesso ci coglie impreparate… perché nessuno ci ha mai spiegato che è normale avere fasi del mese in cui si ha più voglia e altre in cui si preferirebbe guardare Netflix abbracciando il peluche di Stitch).

E poi arriva lei: la fase luteale, ossia quel periodo pre-mestruale che ha generato più barzellette misogine di qualsiasi altro fenomeno biologico nella storia del genere umano.

Il progesterone sale, gli estrogeni scendono, e noi ci trasformiamo nelle versioni più sincere di noi stesse. Ma invece di vedere questa fase come un momento di chiarezza emotiva, l’abbiamo etichettata come “sindrome pre-mestruale” da curare, da silenziare, da nascondere. Come se essere più sensibili e meno disposte ai compromessi fosse automaticamente patologico!

DISMENORREA: L’ELEFANTE NELLA STANZA

Parliamo ora dell’elefante nella stanza: la dismenorrea, quel dolore mestruale che colpisce fino al 70% delle donne in età fertile, ma che continua a essere trattato come se fosse una forma di ipocondria collettiva.

Ci hanno insegnato che è normale che faccia male. Ma normale per chi? E soprattutto, normale fino a che punto? Perché se “normale” significa svenire dal dolore, vomitare, non riuscire ad alzarsi dal letto, allora forse il nostro concetto di normalità ha bisogno di una seria revisione!

La dismenorrea non è “un po’ di mal di pancia”, è un dolore che può essere paragonabile a quello di un infarto, eppure è stato storicamente minimizzato, ignorato e ridicolizzato.

IL TABÙ DEL CICLO

Il sangue mestruale è “sporco”. Le donne con le mestruazioni non possono toccare le piante perché moriranno (n.d.r., questo me lo hanno detto ancora di recente), non possono fare la maionese (perché ovviamente impazzirà), non possono entrare nei luoghi sacri perché li contamineranno. In alcune culture, le donne mestruate vengono letteralmente bandite dalla comunità per giorni.

Anche nelle società occidentali i tabù persistono in forme più sottili.

Nascondere l’assorbente nella manica quando si va in bagno, sussurrare “ho le mie cose” invece di dire chiaramente “ho le mestruazioni”, saltare la palestra o la gita con gli amici per paura di essere scoperte… quella vergogna sociale che ci fa sentire in colpa per qualcosa che letteralmente la metà dell’umanità sperimenta.

Il paradosso è che viviamo in un mondo che celebra la maternità, ma demonizza il processo biologico che la rende possibile. È come applaudire il risultato finale ignorando completamente tutto il meccanismo che ci porta lì.

IL CICLO È PARTE DELL’IDENTITÀ

Il ciclo mestruale racconta anche la storia di chi siamo: c’è l’adolescente che ha il menarca (prima mestruazione) e si ritrova catapultata nel mondo degli adulti; c’è la donna che cerca una gravidanza e ad ogni mestruazione piange; c’è quella che invece vive ogni mestruazione come una liberazione, un “per questo mese sono salva”.

C’è la donna in carriera che impara a nascondere i propri dolori mestruali perché si sente debole; la madre che si ritrova a spiegare alla figlia quello che nessuno aveva spiegato a lei; la donna in perimenopausa che vede il proprio ciclo cambiare e si confronta con una nuova fase della vita…

E poi c’è tutto quello che il ciclo ci insegna sulle relazioni. Con i partner che imparano (o non imparano) a riconoscere i nostri ritmi. Con le amiche con cui condividiamo consigli su antidolorifici e coppette mestruali. Con le madri, le sorelle, le figlie, in una trasmissione di sapere che spesso è più potente di qualsiasi educazione sessuale.

UNA PICCOLA RIVOLUZIONE

Negli ultimi anni, qualcosa sta cambiando. Le app per tracciare il ciclo proliferano (anche se molte sono progettate da uomini che pensano che le mestruazioni durino sempre 28 giorni netti). I prodotti mestruali si diversificano: coppette, intimo assorbente, dischetti lavabili, spugne mestruali e così via. Finalmente si inizia a parlare di endometriosi, di PCOS, di tutti quei problemi che per decenni sono stati liquidati con “è normale che faccia male”.

Ma la vera rivoluzione non è tecnologica: è culturale. È la generazione di donne che non accetta più di soffrire in silenzio e che pretende risposte dalla classe medica. Che parla apertamente di mestruazioni sui social media, che educa i propri figli maschi al fatto che le mestruazioni sono una funzione corporea normale, quanto la digestione.

È l’attivismo mestruale che rivendica prodotti gratuiti nelle scuole e nei luoghi pubblici. È la ricerca scientifica che finalmente inizia a includere le donne negli studi clinici tenendo conto delle fasi del ciclo. È la graduale consapevolezza che ignorare le esperienze di metà della popolazione non è solo ingiusto: è anche stupido dal punto di vista scientifico ed economico.

IL MESTRUO È LIBERAZIONE

Il ciclo mestruale non è solo quella cosa che ci succede una volta al mese. È un microcosmo delle dinamiche di potere che attraversano tutta la nostra società. È il modo in cui il patriarcato si insinua fin dentro i nostri corpi, convincendoci che la nostra biologia è un difetto da nascondere, un problema da risolvere, una debolezza da superare.

Ma è anche, potenzialmente, un territorio di liberazione. Imparare ad ascoltare il proprio ciclo è un atto profondamente politico. È riprendersi il diritto di definire la propria esperienza corporea. È rifiutare la narrazione che vuole i nostri corpi come difettosi o problematici.

È riconoscere che siamo esseri ciclici in un mondo che pretende linearità, che abbiamo ritmi naturali in una società che impone tempi artificiali e che la nostra sensibilità ormonale non è un bug, è una feature.

E soprattutto, è capire che il nostro corpo non è un nemico da combattere, ma un alleato da ascoltare. Una bussola che, se impariamo a leggerla, può guidarci verso una comprensione più profonda di noi stesse.

Questo articolo è dedicato a tutte le donne che hanno sofferto in silenzio, convinte che il loro dolore non fosse abbastanza importante da essere preso sul serio. È ora di cambiare narrazione.

Elisabetta Carbone
Leggi anche : Il ciclo spiegato ai maschi: un viaggio nel corpo di una donna per sfatare un tabù millenario



Elisabetta Carbone

Elisabetta Carbone è psicologa clinica e sessuologa con orientamento sistemico-relazionale. Si occupa di relazioni, identità, narrazioni individuali e familiari, con uno sguardo attento alle dinamiche culturali e sociali che attraversano la psiche. Fondatrice dello studio Oikos, scrive di salute mentale con un linguaggio accessibile ma rigoroso, costruendo ponti tra psicologia e società. Vegetariana convinta, non fa un passo senza Teo, il suo inseparabile compagno a quattro zampe.
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